TOMBESI – Assurto al grado di capo della sezione territoriale di Camerino, il sor Peppino, mio padre, compose il numero di telefono della Sede Centrale di Macerata. Attese per qualche secondo, scandito dal segnale di libero; poi, dall’altro capo del filo, una voce poco familiare rispose: “Pronti…” Mio padre chiese: “Chi parla?” – “Tombesi” fu la risposta rapida e un po’ sorpresa. “Tombesi?… Come Tombesi? Ho sbagliato numero, mi scusi…” e il sòr Peppino Giachini riappese. Rifece con calma la combinazione, usando la biro per comporre il numero sulla tastiera rotonda. Trovò la linea occupata, e decise per il momento di dedicarsi ad altro. Più tardi richiamò la Sede. “Pronto – nessuna risposta – Pronto… Chi parla ?” Di nuovo la voce un po’ in falsetto: “Tombesi…”. Mio padre abbassa il cornetto, imprecando sottovoce. Afferra la guida telefonica e cerca con accuratezza il numero della Centrale: è quello, non c’è dubbio. Tranne una modifica dell’ultimo momento, un possibile intasamento della linea o un falso contatto, la combinazione è esatta. Dall’altra parte, la solita voce. E il sor Peppino: “Abbia pazienza, mi scusi nuovamente… Forse un’interferenza sulla linea…”. Ricompone da capo la serie dei numeri e, appena sente lo scatto dall’altra parte: “Pronto… Chi è all’apparecchio?” – “Tombesi…” – “Ma, mi scusi – fa mio padre al limite dalla pazienza – non è la sede dell’Inam? la Mutua Malattia di Macerata?” – “Questa qui? Scì… scì… scìne… adè la Mutua de Macerata” – “E perché non me lo ha detto subito?… È mezz’ora che sto cercando di parlare… Lei si presenta come Tombesi!” – “Sai, dottó, me devi da scusà… non sò’ tantu pràtecu… adè un par de jorni che sò’ statu ‘ssunto e ogghj è la prima òrda che me stròo a sminestrà co’ stu fregnu… so’ Tombesi, lu fattorino nòu…”. Quest’ultimo scampolo di frase lo pronunciò tutto d’un fiato. Ex colono mezzadro (mezzo-ladro celiavano i nostri nonni) delle zone montane della provincia, vigoroso rappresentante della razza marchigiana, già esperto con le corna dei bovini, ora in serio imbarazzo con la… cornetta del telefono. Strani scherzi del destino. Sano lavoratore del suolo patrio, da “cesellatore della crosta terrestre”, si trasformò – per i buoni uffici di qualche santo demiurgo scovato a Roma o per le imperscrutabili vie del credo politico – in altero interlocutore in doppio petto, con tanto di mostrine dorate, insostituibile intermediario di cose di ufficio, sornione, attento, lavativo e ipocritamente efficiente. Ecco a voi “il Subalterno”. Mai più il “fattorino” di tradizionale nomenclatura.
Goffredo Giachini
20 maggio 2019