“Sono nato a Ribùtino” nel libro la storia della nostra terra

Per chi è vissuto da ragazzino la seconda metà del ‘900, non nelle grandi città ma nei paesotti del maceratese è facile ritrovare nel libro “Sono nato a Ribùtino”, scritto da Guido Vicomandi, le stesse esperienze, gli stessi oggetti, i modi di dire, il reciproco aiutarsi… in pratica un sistema di vivere diverso da quello odierno. In mezzo secolo la società italiana si è completamente trasformata.

 

La vita contadina a Ributino

Guido Vicomandi, seguendo il filo dei ricordi descrive alla perfezione quella che era la vita contadina a Ribùtino, una striscia di campagna prossima a Tolentino, confinata tra un fiume, un fosso, alte colline. Un angolo di paradiso se osservato con gli occhi di un bambino, vivace e attento a tutto quanto gli è intorno: la natura e le sue mutazioni, il contatto con gli animali, gli attrezzi agricoli, le azioni dei genitori, il rapporto di vicinato con le famiglie della zona. Tutti insegnamenti che lo hanno formato per affrontare il futuro.

 

La essenzialità dei gesti

Le pagine si susseguono, molto ben scritte, con accurate descrizioni e, a intervalli, condivisibili analisi delle problematiche che oggi ci assillano. Il metodo di scrittura del Vicomandi, così dettagliato (ma non freddo bensì appassionato) ci porta a considerare la essenzialità di ogni gesto dei contadini, gesto frutto di esperienze antichissime, consacrato da quelle ripetitività che affermano: “Fai così perché meglio non si può fare”.

 

Oggetti e saperi millennari

La forma del carro (veramente bella l’incisione di Mainini scelta per la copertina) richiama l’assetto dei carri rinvenuti nelle necropoli picene, roba da almeno 1000 anni a.C., una struttura che si è mantenuta nei secoli. Così come il “sapere” tramandato a voce e con l’insegnamento della pratica quotidiana, proprio come si faceva secoli fa e non crediamo di fare un grosso errore provando a dire che per millenni la vita nelle campagne del Piceno sia trascorsa così, almeno fino a quando il potere temporale della Chiesa ha imposto i suoi dogmi comportamentali, che si rilevano a tratti nella narrazione, sotto forma di superstizioni. E fino a quando, in tempi recenti, le “invenzioni”, energia elettrica in primis, hanno rapidamente tutto rivoluzionato, facendo cadere in secondo piano l’attività agricola rispetto a quella industriale.

 

Note sulla lingua parlata

L’autore fa anche un escursus sulla lingua parlata, quel nostro dialetto che man mano ci si addentra nell’interno diventa più duro. Riguardo al linguaggio fa una annotazione, in qualche modo interessante. Afferma infatti che i termini dialettali derivano spesso dalle lingue classiche, greco e latino, ma anche dai più moderni francese, spagnolo e romeno. Sul fatto che ci siano forti assonanze Guido Vicomandi ha ragione. Però… e se fosse il contrario? Il popolo Piceno (e il suo linguaggio) è molto più antico di Roma e il francese è addirittura una lingua moderna (i nostri termini dialettali sono presenti da molto prima che il francese fosse, così come per la lingua spagnola. Quando Roma formò l’esercito per assoggettare la Dacia (odierna Romania) lo fece attraverso la caserma di Fermo, arruolando i Piceni che poi si stabilirono nelle terre conquistate: nelle zone interne della Romania un fermano, parlando nel suo dialetto, riesce a farsi comprendere e a comprendere, tanto sia le parole che il modo di costruire i termini sono simili. 

 

Il ritorno sui luoghi

L’autore è ritornato a visitare i luoghi della sua puerizia, ha cercato le vecchie case trovando al loro posto nuove costruzioni e qualche rudere. Di quella epoca felicemente vissuta gli restano i ricordi, rimane questo bel libro che abbiamo letto con gran piacere, corredato da tante foto che rendono in immagine le descrizioni dei luoghi, degli oggetti, dei lavori. Guido, nella prefazione scrive: “…le paginette seguenti non sono destinate a un pubblico di lettori … rispondono invece all’esigenza dello scrivente di fissare sulla carta le emozioni legate ai tempi e ai luoghi dell’infanzia…”. Secondo noi è andato oltre, perché quel che lui ha scritto è Storia.        

Fernando Pallocchini

30 marzo 2019

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