Racconta Massetà (nomignolo derivato da Massa Fermana) che al santuario di San Liberato, in territorio di San Ginesio, poco lontano da Sarnano, vi era molti anni fa un simulacro in terracotta del venerato santo, di piccole dimensioni e colorato. Il santuario è tuttora meta di pellegrinaggi da parte di comitive di fedeli marchigiani e, poiché quella statua, chiamata in dialetto lu Sandu de còccia, era ritenuta, a torto o a ragione, miracolosa, i pellegrini, dopo aver recitato preghiere e formulato la richiesta di grazia, chiedevano di poter baciare la statuina del santo, passandosela di mano in mano. Nelle occasioni in cui il numero dei fedeli era molto alto la statuetta dove essere passata molto in fretta dall’uno all’altro, per cui il Padre Guardiano, preoccupato della sua fragilità, raccomandava a tutti la massima prudenza. Un giorno, impegnato in tale atto devozionale con zan Libberatu de coccia, c’era un gruppo di virzoccóne (beghine) di ogni età, tutte molto ansiose di meritarsi la grazia; il Padre Guardiano cercava di contenere le loro pie smanie dicendo: “Piano, facìate pianitto, che me lu roppéte! …piano, con garma sennù se róppe… vasta co’ ‘ssa prèscia, piano, pianitto… pianitto che lu Sandu se róppe…” (piano, fate pianino che me lo rompete… piano, con calma che altrimenti si rompe… basta con questa fretta, piano, pianino… pianino che il Santo si rompe…). Nonostante gli avvertimenti e le esortazioni de lu Patre guardià, successe che la statuina scivolò di mano a qualcuna, cadde in terra e si ruppe. Infuriato, allora, a quel sant’uomo scappò detto: “Ammó che ve vascéte..? Vasciàteve ‘stu c…!” (Adesso che vi baciate..? Baciatevi questo c…!). E poi, tra sé, aggiunse: “E ssimo pari!” (E siamo pari!).
18 marzo 2019