Con bolla del 6 giugno 1323 Papa Giovanni XXII nominò Vescovo di Macerata Pietro, dei Frati Minori Francescani. Fra’ Pietro apparteneva alla stirpe dei Mulucci, affermati in città e nel territorio circostante sin dal secolo XIII.
Un po’ di storia della famiglia Mulucci
I Mulucci militarono sotto Carlo D’Angiò, furono signori del castello di Montesecco, diedero podestà e capi del popolo a Castelfidardo, Montegiorgio e Siena, parteciparono al Consiglio speciale “liber reformationum”. Furono investiti di cariche pubbliche e aggregati al patriziato maceratese sin dal 1219. Pietro fu scelto personalmente dal Papa che lo giudicò particolarmente capace e dotato “de religionis zelo, vitae munditia, litterarum scientia, gravitate morum, circumspectionis, experta prudentia praeditus”. Macerata era un comune relativamente piccolo e di minore rilevanza rispetto a san Severino, Fabriano, Ascoli e Fermo ma fu sempre guelfa e fedele alla Chiesa. Con la bolla di nomina Pietro viene indicato come Vescovo per le cose spirituali e materiali, una precisa volontà del Papa di favorire i Mulucci che, di fatto, già governavano la città e non persero l’opportunità per ampliare, con Fedo de’ Mulucci, fratello del Vescovo Pietro, il loro potere su Montecosaro e Morrovalle.
1294, il fatto prodigioso
In questo periodo avvenne un fatto prodigioso, la miracolosa traslazione, nel 1294 a Loreto, della Santa Casa di Maria. Pietro aveva 37 anni ed era quindi ben in grado di valutare l’avvenimento per poter poi, a distanza di qualche anno, testimoniarne la grandezza. A lui spettò l’onore di porre la prima pietra del primo Santuario di Loreto, visto che quando era Vescovo questa località faceva parte della Diocesi di Macerata. Cercò in ogni modo di favorire e accrescere la devozione alla Vergine lauretana. I pellegrinaggi iniziarono a susseguirsi e anche le descrizioni dei luoghi e del miracoloso evento. Ecco, dunque, che viene attribuito al Vescovo Pietro, nato nel 1257 e morto novantenne il 22 ottobre 1347, il primo studio sull’evento.
Un esemplare del trattato
Lo storico Oliviero Tozzi (secolo XIX) riferisce che un esemplare di questo trattato, in una edizione del 1565, sarebbe conservato presso la Biblioteca Leopardiana “…et exemplar pretiiosissimum adservatur in Leopardiana Bibliotheca”. Anche lo storico Antonio Vogel, nel volume “De Ecclesiis Recanatensi et Laureana” fa riferimento al trattato che sarebbe, si ripete, la prima e più autorevole descrizione degli avvenimenti riguardanti la traslazione della Santa Casa, proprio perché descritti da un testimone oculare.
Diffuso a 200 anni dalla morte del Vescovo Pietro
Purtroppo il trattato viene pubblicato e diffuso solo nel secolo XVI, circa 200 anni dopo la morte del Vescovo Pietro, e viene distribuito tra i fedeli pellegrini che ripetono a memoria le invocazioni ivi contenute e confermano le loro convinzioni sull’origine del pellegrinaggio e della traslazione della Santa Casa. Il testo è breve, contenuto in appena una facciata e vi si trovano elencati dei riferimenti precisi di quanto allora accaduto e ben articolati. Ci fu grande diffusione di tale trattato tra i pellegrini e perfino nelle scuole, ove lo si studiava e recitava, come ci riferisce il Martorelli, altro storico che menziona un esemplare manoscritto del documento. Ecco dunque che il riferimento a un documento, attribuito a un Vescovo che visse l’avvenimento, che pose la prima pietra del primitivo Santuario, che sicuramente favorì il culto e i pellegrinaggi, deve aver significato un voler rafforzare la fede nel miracoloso evento, da opporre a quella mentalità, frutto di una esasperata visione della cultura umanistica, che iniziava a diffondere scetticismo sui miracoli e a negare l’intervento del soprannaturale.
21 febbraio 2019