Giovanni Sileoni e la collezione di antiche macchine da cucire

Capita spesso a noi de “La Rucola” di incontrare scultori, pittori, collezionisti che esprimono il desiderio di trovare un posto dove allestire, in mostre permanenti, le loro opere e le loro collezioni affinché siano fruite da tutti e non vengano disperse. Questi oggetti d’arte e di memoria nel frattempo sono esposti e custoditi presso il proprio laboratorio, nella propria casa i cui spazi diventano sempre più stretti, in attesa che qualche ente se ne interessi e se ne faccia carico. Ma, come sappiamo, dalle nostre parti in questo momento le amministrazioni non hanno né gli spazi, specie dopo il terremoto, né la forza economica per creare nuovi musei o ampliare quelli già esistenti. Tristemente guardiamo il nord Italia, e il nord Europa, che con altre mentalità e altre possibilità riescono invece a farlo. Intervistiamo un personaggio del maceratese, precisamente di Chiesanuova di Treia, il signor Giovanni Sileoni, che abbiamo incontrato a Chiesanuova durante la “Fierucola delle eccellenze bioregionali”, dove era presente con la sua collezione di macchine da cucire d’epoca.

 

Come e quando le è venuta l’idea di collezionare macchine da cucire d’epoca?

“La mia è una risposta un po’ lunga, perché il mio destino dipende in parte dalle scuole elementari, che ho frequentato in contrada Paterno, nelle pluriclassi. Gli ultimi 2 anni avevamo come insegnante un maestro piuttosto ‘leggero’: noi scolari eravamo tenuti a portare quotidianamente qualche pezzo di legno o fraschette per accendere il fuoco che riscaldava l’aula, ma accadeva che la legna migliore finiva al piano di sopra dove il maestro abitava con la sua famiglia, e siccome di sovente arrivava il prete a fare loro visita, il maestro se ne andava di sopra a riscaldarsi con prete e moglie e noi ragazzi al piano di sotto rimanevano a fare i pensierini, e a patire il freddo cercando di bruciare le frasche rimanenti, riempiendo la stanza di fumo. Oppure nella bella stagione, con la scusa di tenere lezioni all’aperto, ci faceva sistemare il suo giardino. Arrivati in quinta, però, mi resi conto che rispetto ai ragazzi delle altre scuole la mia preparazione era piuttosto lacunosa e non me la sentii di andare a frequentare le medie: ripiegai per l’avviamento professionale, nel centro storico di Treia, con meno materie teoriche e molta pratica. Lì scoprii di essere molto portato per la meccanica, diventando molto bravo nel progettare e realizzare i lavoretti. Era la fine degli anni ’60, e ultimati i tre anni mi iscrissi alla scuola professionale, frequentando i tre anni con ottimi profitti, ero il migliore con le macchine. In estate invece andavo a lavorare nei campi, con la mietilega, ricordo che con il sole la mia pelle saltava via come quella delle vipere…”.

 

Quando arrivano le macchine per cucire?

 “Eccole: finite le scuole, provai diversi lavori, finché mia sorella comprò una macchina per cucire Necchi. Mi venne in mente di chiedere lavoro al venditore di queste macchine. Iniziò in questo modo la mia avventura nel mondo delle macchine da cucire e ancora di più di quelle da maglieria, quelle familiari”.

Macchine da maglieria familiari?

“Sì, in quegli anni erano tantissime le donne che lavoravano a casa, su commissione dei maglifici. Poi, alla fine degli anni ’70 ci fu l’avvento delle macchine industriali, e i maglifici  cominciarono  ad  acquistarle eliminando il lavoro a domicilio. Ebbe inizio così il periodo delle scarpe: le donne si riciclarono lavorando a casa per i calzaturifici. Io continuai con le macchine di maglieria e cucito, prevalentemente per conto delle aziende, girando tutta l’Italia per fare le manutenzioni, fino al 2010, quando arrivato in età di pensione, decisi di smettere: la società stava cambiando, i clienti erano sempre più esigenti, le riscossioni sempre più difficili e dilazionate…”.

Aveva già iniziato la raccolta?

“Sì, negli anni avevo iniziato ad accumularne e in quel momento potei finalmente iniziare a dedicarmi alla cura della mia collezione di macchine da cucire d’epoca, ripensando spesso con rammarico a tutte quelle che vennero buttate via per inutilizzo e mancanza di spazio presso le ditte dove avevo lavorato”.

Buttate via? Perché in ditta c’erano macchine vecchie oppure usate?

“Molte macchine venivano ritirate indietro come sconto ‘rottamazione’ vendendone una nuova di quelle elettriche con lo “zig-zag”. Addirittura a un certo punto si iniziò a fare uno sconto ulteriore a quei clienti che, comprandone una nuova, si tenevano pure quella vecchia, pur di non ritirarne altre”.

Un buon collezionista deve conoscere anche la storia degli oggetti che colleziona…

“Sicuramente, infatti ho passato intere notti a cercare su internet notizie sui modelli e sulla storia delle aziende che li hanno prodotti. Sono storie avvincenti, che hanno segnato un’epoca! Il primo che riuscì a progettare e costruire una macchina per cucire funzionante, fu un sarto francese, Barthélemy Thimonnier, nel 1830. Costui mise in piedi la prima azienda al mondo che produceva abbigliamento cucito a macchina, e prosperò realizzando le divise per l’Esercito francese. Una macchina faceva il lavoro di 3-4 sarti parigini che cucivano a mano, e questi ultimi, temendo l’eliminazione del loro mercato, protestarono così vivacemente che la fabbrica di Thimmonier fu incendiata e l’attività cessò. Ma ciò non impedì la nascita di molte altre aziende produttrici, tra le quali la Singer, considerata la numero uno e ispiratrice di tutte le altre: la maggior parte difatti, acquistava un esemplare Singer e lo copiava spudoratamente, variando solo piccoli dettagli, come fece anche l’italiana Necchi.

Kaiser – 1910

Oggi il mercato di questo settore come è?

“Oggi il mercato è crollato, le aziende italiane esistono ancora come Brand, ma la produzione è oramai affidata all’estero, a ditte come la Husqvarna, l’esperta in motoseghe… E il 90% delle macchine che troviamo in vendita da noi è prodotto in Cina e di qualità scadente, niente a che vedere con le macchine costruite tra il 1800 e i primi decenni del 1900, che difficilmente si guastano, e se si dovesse rompere un meccanismo si potrà sempre aggiustare o ricostruire”.

Macchina per arricciature

Riesce a risalire all’anno di produzione dei suoi pezzi?

“Sono tutti marcati con un numero di serie, ma spesso a questo codice non corrisponde un elenco cronologico, per cui, salvo pochi casi, la data di fabbricazione è approssimativa”.

Macchina per asole e cerchietti

Le sue macchine sono funzionanti?

“Nella mia collezione ho circa 80 pezzi perfettamente restaurati e funzionanti, e un numero maggiore e indefinito di non funzionanti, tra queste una tedesca Kaiser datata 1910, una Singer Violino cromata del 1896, una Singer modello 48K del 1904…”.

Ha modelli che eseguono lavorazioni particolari?

“Mi diverto a farle funzionare con piedini speciali, come quello per fare le arricciature, o creare accessori per lavorazioni particolari, come la cucitura di cerchietti, asole, attaccabottoni. Particolare è il modello che lavora a un solo filo e fa quindi un punto a catenella, utilizzabile per cucire cappelli” (vedi foto in basso a sx).

Macchina a un filo catenella

Ci sono altri collezionisti come lei?

“Ce ne sono altri, sia in Italia che all’estero ed esistono anche degli splendidi musei, a Londra e in Francia a Bordeaux, a Amplepuis, in Svizzera a Durnten, ad Arcore. Una idea che potrebbe essere copiata è quella di Robbio (Pavia), dove una scuola media ha adibito un locale a piccolo museo che custodisce e consente di ammirare la collezione di un appassionato locale. Mentre aspetto una soluzione per i miei esemplari, cerco di mantenere vive attenzione e memoria esponendoli alle manifestazioni”.

Quale frase ascolta più spesso dai visitatori?

“C’è sempre qualcuno che mi dice: ce l’ho anche io in casa, era di mia nonna…”. 

Simonetta Borgiani

9 febbraio 2019

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