Il Piceno tra storia e storielle: a quando la verità sul nostro popolo?

 La denominazione ufficiale di “Regio V Picenum” è del 7 d.C., quando Augusto istituisce le regioni in Italia. I Piceni preesistevano ad Augusto da… qualche anno, anzi da vari secoli, almeno una decina. La denominazione ufficiale di Picenum scompare nel 476 d.C. (caduta dell’Impero romano d’Occidente), quando tutta l’Italia diviene “Regno degli Ostrogoti”. Il Piceno prende il nome di Marca d’Ancona (Carlo Magno 773), poi Regione Marche. I Piceni continuano a esistere per altri 16 secoli, sopravvivendo al dominio di Longobardi, Franchi, Papi, Francesi, Piemontesi e non li distruggono nemmeno i numerosi terremoti che hanno flagellato l’Italia centrale. Questo misterioso popolo italico dove è nato? Quando? Come e perché si è espanso? Perché ha conservato nel tempo il nome “Piceno”?

 

Storiografia ufficiale

Coloro che hanno la patente di custodi e promulgatori della vera storia si degnano d’illustrare l’origine dei Piceni pontificando “Ex cathedra” inconfutabili dogmi di fede. Per loro i Piceni sono:

1 – Poveri pastori vaganti;

2 – attivi nell’Età del Ferro, X o IX secolo a.C.;

3 – Indoeuropei venuti dal Nord;

4 – di origine Sabina;

5 – il nome deriverebbe da “picus” – “picchio”, uccello sacro a Marte, che avrebbe guidato la loro migrazione (ver sacrum).

Tutti hanno creduto a quanto era scritto sui libri di testo, a maestri, professori e docenti universitari. Con il miglioramento delle condizione economiche, l’acquisto di testi storici (di fatto messi all’indice) non è stata più una impresa titanica. Google ha digitalizzato anche i testi dimenticati, rendendoli consultabili da tutti, gratis. L’approfondimento della storia è così divenuto democratico, accessibile a tutti e… ha fatto sorgere molti dubbi.

 

1 – Piceni poveri pastori vaganti?

Se è intuitivo che gli uomini primordiali siano vissuti di caccia, pesca e frutta, non è dimostrabile che i Piceni siano stati solo poveri, pastori e migranti. Non risulta che in epoca preromana si sia sviluppata una intensa zootecnia monoculturale. Se fossero stati tutti pastori con chi avrebbero potuto scambiare carni, latte e formaggi? L’ancestrale economia picena non doveva essere molto dissimile da quella che, nella seconda metà del 1900, ha fatto nascere “il Miracolo Marchigiano detto anche Modello Marchigiano”. In questa Regione l’agricoltura era prevalente, i terreni erano medio-piccoli. Per il sostentamento (e non solo) si allevavano pochi animali da cortile, bovini, ovini e suini. Quando i lavori agricoli richiedevano meno impegno, i contadini diventavano muratori, calzolai, fornai, cappellai ecc.. I Piceni antichi all’artigianato preferivano la guerra: era meglio retribuita. Altra verità imposta: Etruschi ricchi e Piceni in povertà assoluta? Questa storica definizione non può convincere. Le condizioni economiche dei popoli antichi vanno desunte anche dall’analisi delle loro tombe.  Le  necropoli picene già individuate sono varie centinaia. Le tombe venute alla luce sono migliaia, tutte ricchissime di reperti: carri, spade, elmi, scudi, vasi, collane, pettorali, schinieri, fibule, attrezzi di uso comune ecc.; oggetti costruiti con materiali nobili e di pregio: bronzo, ambra, pasta vitrea, avorio, ferro di altissima qualità (molto acciaioso, resiste da tre millenni). Rarissimo l’oro, forse anche per le “vicissitudini” che hanno perseguitato i reperti piceni. L’ambra (di grande valore commerciale) abbonda, particolarmente nella necropoli di Belmonte Piceno.

Il quantitativo di Ambra che è stato a suo tempo prelevato da una sola tomba nella quale era sepolta una donna, nella zona archeologica di Belmonte Piceno (Dall’Osso).

2 – Attivi nell’Età del Ferro, X o IX sec. a.C.?

I musei (non solo marchigiani) sono pieni di fossili, di strumenti in pietra scheggiata, di armi, di oggetti in bronzo, prelevati dal Piceno; e se ne potrebbero trovare ancora moltissimi. In quei tempi remoti, dovevano essere numerosi i produttori e gli utilizzatori di quei manufatti! Dicono che per neolitico s’intende il periodo dal 6000 al 3500 a. C., Eneolitico 3500 – 2200 a.C., età del bronzo 2200 – 900 a.C., età del Ferro 900 – 200 a.C. Perché la quasi totalità dei reperti piceni sono datati dal VI secolo a.C. in poi? E perché le nostre mura megalitiche dovrebbero essere del III secolo mentre le analoghe Micenee sono considerate del II millennio a. C.? Tutti misteri della storia! Forse il progettista e il direttore dei lavori hanno impiegato 17 secoli per traversare l’Adriatico? Anche se è noto che le correnti adriatiche agevolano i trasferimenti…

3 – Indoeuropei venuti dal nord

La definizione di popoli indoeuropei sembra troppo vaga e vasta per individuare l’origine di un popolo (esclude solo africani, americani e australiani). Poi, “provenienti dal nord”: quale territorio del Nord? I depositari dello scibile storico non forniscono prove dell’immensa migrazione. Il Piceno era un territorio, da sempre, intensamente popolato come si deduce dalle tonnellate di selci, strumenti, armi, ambra, bronzi, gioielli (dalla ricercata fusione), rinvenute nelle Marche (e non solo). Non c’erano spazi per grandi immigrazioni.  Sono invece certe le modeste movimentazioni tra popoli vicini (compresi quelli delle coste adriatiche) per scambi economici e culturali; e non solo.

4 – Di origine Sabina

Secondo Strabone, i Sabini “abitano un angusto paese, che si stende per 1000 stadii (125 miglia), dal Tevere e dalla piccola città di Nomento insino ai Vestini”. Dionigi di Alicarnasso la descrive leggermente più estesa. Nicola Corcia in “Storia delle due Sicilie… 1843” descrive la Sabinia come una “punta di lancia”. Ciò nonostante la storiografia ufficiale fa derivare dai Sabini: Piceni, Sanniti e anche Campani (Picentini).

5 – Da Picus/Picchio, uccello sacro a Marte, ver sacrum

Ver Sacrum (primavera sacra): i popoli antichi usavano rivolgersi agli dei per avere un lasciapassare tra le difficoltà della vita (ora, più evoluti, ci affidiamo agli oroscopi e ai ciarlatani). L’Oracolo vaticina che per evitare calamità si dovevano sacrificare i primogeniti nati in primavera. Per gli animali nessun problema: sacrificare significa “rendere sacro insieme”; un lauto banchetto è un sacrificio sopportabile. Per i bambini si pensò di commutare la morte con l’esilio: dopo la pubertà dovevano emigrare. In questo momento entra in scena il famoso picchio che guida i giovani nel piceno. Non è dato conoscere le modalità delle trasferte: erano soggetti singoli? Con legami di sangue? Raggruppati per località di nascita? Per territori di destinazione? Quanti viaggi (andata e ritorno) avrà fatto quella povera bestia? … Il picchio doveva essere il campione del mondo degli stacanovisti. Questa favoletta assurge al rango di documento storico. Desta molta meraviglia costatare che siano moltissimi a dargli credito. Quindi, in conclusione, i Piceni devono essere considerati gli antichissimi abitatori dell’Italia centrale; detti aborigeni (nell’accezione latina “dall’origine”). “Aborigeni: in quei tempi cominciano a dirsi Latini… questi Aborigeni, dai quali comincia la gente romana, dimostrasi che derivino da se stessi, e siano appunto naturali d’Italia” (Dionigi di Alicarnasso). “Verso lo stesso tempo, il Regno degli Argivi finì, e fu trasferito a Micene… e quello dei Laurentini cominciò a stabilirsi, i quali ebbero per loro primo Re Pico, figliuolo di Saturno… I Laurentini (Pico) regnavano dunque già in Italia, dai quali sono usciti più sicuramente i Romani… (S. Agostino, La città di Dio). Le tombe picene sono ricchissime di reperti (armi, carri, monili, fusioni di alta tecnologia ecc.). Se ne deve dedurre il grande rispetto per gli inumati e la facilità di reperimento e di acquisto di nuovi oggetti. Doveva quindi essere florida l’economia, compresa l’attività metallurgica e l’industria del lusso. Nella sola “Tomba del Duce” di Belmonte Piceno furono travati 6 carri; per quei tempi il possesso di un carro è equiparabile all’attuale possesso di una Ferrari. Se la Finanza vi trovasse nel garage 6 Ferrari non potrete sostenere che siete in miseria. Ma dottissimi conferenzieri insistono: “Gli Etruschi erano ricchi mentre i Piceni erano poverissimi” e: “Non ci sono evidenze che i Piceni avessero strade”. Eppure esistevano varie strade nel Piceno già prima di Roma! Le bighe e i carri (e le Ferrari) non amano i campi arati o, peggio, incolti! Poi c’è il detto: “Ascoli era Ascoli quando Roma era pascoli”.

Conclusione

Tutto ciò a dimostrare che i Piceni non erano poveri pastori vaganti. Il rinvenimento di bighe e armi nelle tombe femminili classificate “delle Amazzoni” (e in quella della regina di Sirolo-Numana) dimostrano che l’Eneide di Virgilio non è solo una novella in versi. Quando (cap. XI dal verso 241) canta di Turno, della vergine Camilla “virago” e delle sue compagne, non dà sfogo alla sua fantasia, forse più prosaicamente ricorda e descrive tradizioni picene. All’ipotesi che Piceno derivi da nome di un uccello, dai colori sgargianti e quasi scomparso, non dovrebbero credere i maggiori di anni 8. Invece lo asseriscono gli “Storici” e tutta la classe dirigente marchigiana. Le storielle più sono strampalate più sono credibili. Generalmente i popoli e le città prendono il nome dal Re o dai capipopolo: Saturnia da Saturno, Italia da Italo, Enotria da Enotrio Re Sabino e che dire di Alessandria, Stalingrado, Togliattigrad e Washington. Ma se (fatto il lungo elenco di storici che pongono Pico re dei latini intorno al 1330 a.C.) domanderete: “Perché no Piceno da Pico?” Non avrete spiegazioni, sarete commiserati con solamente un: “No, perché NO!” Loro volano alto: non hanno fede in un “Padre della Chiesa” come S. Agostino e, in questo caso, Dionigi di Alicarnasso… non è attendibile!

Nota:  questo è un articolo divulgativo. Si omette la ricca bibliografia: occuperebbe il doppio dello spazio!

Nazzareno Graziosi

6 febbraio 2019

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