“Il rosso fiore della violenza” – LIV puntata

Il Sindaco salì sul podio e, inforcati gli occhiali, spiegazzò dei fogli e, dopo aver fissato al di sopra delle lenti gli astanti, attaccò: “Cittadini, siamo qui riuniti, in questo triste giorno, per dare l’estremo saluto al nostro amato concittadino Mario La Torre, caduto sotto il piombo della barbarie. Egli, fulgido esempio di dedizione al dovere, ha opposto il suo petto e il suo cuore all’avanzata d’un nemico abietto che, nascondendosi dietro un’incivile e violenta ideologia, vuole sovvertire i sacri valori della Patria! Il nostro Mario con il sacrificio della sua giovane vita, gli ha urlato in faccia: No! Non passerai! Lo ricordiamo ancora, felice e baldanzoso, nel giorno della partenza con negli occhi la certezza della sua libera scelta: la vocazione del difensore della Società. Quale altro lavoro ha in sé il carisma della dedizione più completa sino al sacrificio di far dono di se stesso per la difesa della legalità e del diritto? Caro Mario io mi rivolgo a te, come se tu fossi ancora qui tra noi, dicendoti che la tua morte non è stata vana: sarai additato alle giovani generazioni come preclaro esempio di retto pensare e di virile agire. Sappi che noi siamo tutti orgogliosi di te e te lo dimostreremo, intitolando questa nostra unica piazza al tuo nome luminoso. Una sola ombra in questa cerimonia: il rifiuto del tuo genitore a renderti pubbliche onoranze, ma noi ti seguiremo con la mente e con il cuore fino alla tua ultima dimora su questa terra”. La cornetta della banda cercò di suonare il silenzio meglio che poteva e ciò sarebbe stato, nel tempo a venire, un ricordo da consumare in cantina in compagnia di un bicchiere di vino. Tutte le autorità si ritirarono in perfetto ordine gerarchico verso il municipio, mentre la bara in forma strettamente privata, fu condotta in chiesa. Il padre appena la vide si alzò e, con passo stentato e nel più completo silenzio, l’abbracciò: lacrime cocenti rotolavano come perle vere. “Bentornato, figlio mio, amato come il tesoro più prezioso, ora starai sempre con noi. Sappi che la tua Carmela è qui con noi  e  lo  sarà sempre, nonostante la cecità di cuore di suo padre. Dio, Dio mio, non mi perdonerò mai di non averti impedito di partire! Ma era scritto nel libro del Destino che tu facessi dono della tua vita. Forse è ingiusto per un vecchio che trascina stentatamente i suoi molti anni sentenziare: è meglio morir giovane, fuggendo le umane ingiustizie  che  cibarsene ogni giorno fino alla nausea della tarda età. Ma se ti hanno strappato la vita, ti hanno anche tolto la possibilità di odiare, l’eventualità di fare del male, la certezza di sbagliare, perché più è lungo il tempo di nostra vita e più facile viverla in modo sbagliato”. Il Sacerdote officiava il rito funebre, bisbigliando come se avesse paura di svegliare il povero giovane dal suo sonno eterno; le candele accese tremolavano e i fedeli presenti asciugavano le lacrime con le mani. Il rito terminò e il carro, seguito dalla folla, si avviò verso il cimitero, al suono lamentoso d’una marcia funebre. Nel fare quel percorso, il funerale doveva necessariamente transitare sotto le finestre della povera Carmela. La ragazza appena sentì quelle tristi note fu colta da una rabbia violenta e, afferrata la prima sedia a portata di mano, cominciò a sferrare colpi poderosi contro la porta. Urlava con tutto il fiato che aveva in gola che la facessero uscire. Il padre, esasperato da quel fracasso, spalancò la porta per picchiarla ancora una volta, ma lei, come una furia scatenata gli si slanciò contro facendolo cadere e, correndo verso la cucina, afferrò un lungo coltello dal tavolo. continua

21 gennaio 2019

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