Per i nostri avi, ma anche sino a pochi decenni fa, e in alcune realtà contadine di montagna ancora oggi, il culto dei morti era molto sentito e il mese di novembre era a loro interamente dedicato.
Le anime
Le anime, che loro ritenevano fossero in purgatorio, perché l’inferno non andava bene per una persona amata e il paradiso era da meritare, dopo la giusta espiazione, erano, secondo il loro modo di credere, forte e profondamente radicato, il tratto d’unione fra cielo e terra. Erano vissuti fra noi per poi salire nell’anticamera del paradiso. I santi protettori erano importanti, tuttavia i nostri nonni non li avevano conosciuti personalmente ma solo attraverso la testimonianza dei sacerdoti, delle loro mamme e delle nonne. Invece le anime del purgatorio erano vissute in famiglia e quindi avevano con loro uno stretto legame.
Le suppliche, i simulacri
Nessuna donna avrebbe chiesto un piacere a qualcuno se non dicendo: “Fammelo pe’ l’anima de li mórti tua!” o “Fàmme ‘sta grazia e io te recito ‘na jicina de rosari pe’ l’aneme sante tue de lu purgatoriu!” A loro ci si rivolgeva continuamente ogni volta che si era nella necessità di essere aiutati e, perciò, la loro presenza era quasi tangibile. In molte case c’erano delle statuine in coccio che raffiguravano le anime, oranti, nelle fiamme del purgatorio o erano disegnate in delle immaginette, messe in bella vista dietro al vetro delle credenze in cucina.
Usi nel mese di novembre
Ciò premesso è logico che il mese di novembre, dedicato dalla chiesa ai morti, fosse vissuto con grande fede e profonda devozione. Tutto si fermava. Non si ballava, non c’erano spettacoli leggeri, nessuno ci sarebbe andato, e nelle sale cinematografiche si proiettavano solo pellicole con episodi biblici o storie dei santi. Quelli che erano nati nel mese il loro compleanno o lo festeggiavano prima o dopo o lo facevano in famiglia senza grandi sfarzi e solo con i parenti stretti. Non si celebravano matrimoni. In chiesa, oltre alle messe, c’erano solo cerimonie che commemoravano i defunti con novene e altre celebrazioni. Anche le vetrine dei negozi erano allestite senza sfarzi per allinearsi al modo di vivere.
Il cibo
Il mangiare, peraltro mai abbondante, era modesto e, soprattutto il venerdì, era di assoluta vigilia. La polenta era condita con “lo sugo fénto” ossia con il sugo fatto solo con pomodoro arricchito solamente con tante erbe e, quindi, essendo privo di carne era appunto definito “sugo finto”. Il secondo era baccalà o stoccafisso che le nostre vergare si procuravano dai venditori ambulanti con il baratto. Per cena il baccalà era sostituito da una fetta di formaggio che avevano perché i pastori, facendo pascolare le pecore sul terreno, dovevano pagare un nolo in forme di cacio. L’unica concessione erano dei biscottini, “le fave dei morti”, che però venivano mangiate in loro onore.
L’aneddoto
Durante tutto il mese si facevano frequenti visite al cimitero e le tombe erano custodite e abbellite con fiori freschi. A tale proposito vi racconto un aneddoto. Mio padre, che era in Albania da due anni, aveva fatto amicizia con un uomo e aveva visto che loro portavano ai morti non i fiori ma del cibo: ciambelloni, uova sode e altre cose buone. Un giorno che parlavano di morti mio padre chiese: “Ma quando pensi che il tuo defunto venga a mangiare la roba che tu gli porti?” E lui pronto: “Quando il tuo salirà a sentire il profumo dei fiori che tu metti sulla sua tomba!” A parte le battute credo di aver messo in chiaro il profondo rapporto che c’era fra i nostri avi (e che c’è ancora negli anziani) e le anime dei loro morti. Il mese di novembre, quindi era tutto dedicato ai defunti.
Oggi
Oggi la forza del commercio, con l’arma micidiale della pubblicità, ha annientato tutto questo e a novembre già le vetrine sono addobbate per pubblicizzare i prodotti natalizi, le sale da ballo sono aperte e frequentate ed è meglio non parlare della programmazione cinematografica di certe sale. Oggi, i morti cui è dedicato il mese di novembre, sono… veramente morti.
Cesare Angeletti
16 gennaio 2019