“Bonanòtte Gesù, che l’ójo è caro” è un modo di dire che mia nonna (classe 1890) soleva ripetere quando le capitava di dover affrontare una spesa necessaria ma alla quale non poteva assolutamente far fronte, per le scarse disponibilità della cassa familiare. In poche parole era racchiusa la saggezza delle vergare di un tempo, molto religiose ma nel contempo molto attente all’economia domestica, per cui, ritenendo anche di avere un rapporto confidenzale con la Divinità, alla sera , andando a letto, le auguravano la buona notte ma, nel contempo, spegnevano il lumino di fronte all’immagine sacra, perché… “l’olio è caro”. Non tirchieria ma saggio risparmio, giustificato dalle indubbie difficoltà che nei tempi andati si riscontravano nei borghi e nelle campagne, quando carne e olio erano beni di lusso, riservati ai padroni e accessibili ai contadini solo nelle grandi occasioni (matrimoni, Natale, Pasqua e poche altre feste comandate). È un modo di dire che non ho più avuto occasione di ascoltare da moltissimi anni, così come è risultato del tutto sconosciuto a quanti ho chiesto notizie più dettagliate in merito. Oggi, però, ho il fondato timore che una frase simile, del tutto ignota, dopo tanti lustri possa tornare d’attualità. È vero che oggi non vi sono più lumini (a olio o elettrici ) accesi nelle case, di fronte alle immagini sacre, che del resto sono del tutto assenti se non come opere d’arte e non devozionali. Incombe invece la presenza di debiti (e tantissimi ) nel bilancio dello Stato e quindi delle famiglie per cui, quello che una volta era un modo di dire rischia di diventare una accorata invocazione, una richiesta di aiuto che può venire oggi solo dall’Alto, considerata la pochezza degli attuali governanti. Altrimenti, dovremo spegnere non solo un lumicino ma tutte le luci, dicendo: “Buona notte, Gesù, ‘ché lo spread è carissimo!”
Siriano Evangelisti
5 dicembre 2018