Carmela, rifiutava ostinatamente la imposizione della famiglia di ritornare a casa perché ormai la sua era una scelta definitiva. Vivendo vicino a quel povero vecchio distrutto, lei provava una strana calma interiore che l’aiutava a sopportare anche il suo immenso dolore. Il continuo contatto con l’ambiente e con gli oggetti personali del suo ragazzo le dava l’illusione che egli potesse ancora ritornare: i vestiti, i libri, i quaderni di scuola che erano ancora ordinatamente disposti nello scaffale, le parlavano dei tempi felici ormai irrimediabilmente svaniti.
Casa tua è questa!
Tutto il paese aspettava il ritorno della salma per la tumulazione nel piccolo cimitero: Carmela e il padre di Mario avevano decisamente preteso che la cerimonia funebre fosse strettamente privata e a nulla valsero i reiterati tentativi del sindaco e della giunta comunale a farli desistere dal loro diniego. La ragazza aveva con insistenza chiesto a sua madre i suoi vestiti e un po’ di biancheria, ma il padre si era decisamente opposto, dicendole che se li voleva doveva andare a ritirarli personalmente. Carmela, che conosceva bene il carattere del padre, aspettò che egli fosse andato nella sua tenuta per i lavori giornalieri e poi si presentò a casa. Invece l’uomo, furbo e malevole, ritornò sui suoi passi e le sbarrò la via del ritorno: a nulla valsero i pianti e le preghiere della ragazza di lasciarla ritornare dal vecchio Matteo. “Casa tua è questa e tu qui rimani, capito?”
La lite, le botte, la reclusione
Le impose perentoriamente il padre che così onorava l’epiteto che gli avevano affibbiato sin dall’infanzia: “Cheptust”. “Decido io qual è casa mia, sono maggiorenne e faccio quel che mi pare!” Rispose lei, tenendogli testa con caparbietà. Il padre le mollò un ceffone che rintronò per tutta casa, ma la ragazza non abbassò lo sguardo. “Tu hai sempre creduto che le percosse fanno i figli buoni. Da quando siamo nati non hai mai dimenticato di darci la nostra dose quotidiana, a torto o a ragione, ma più spesso a torto che a ragione. Non ti sei reso conto che in questo modo ti sei perso il rispetto e l’affetto dei figli?” – “Tu parla per te, pecora nera della famiglia!” – “No, non t’illudere, tutti la pensano come me, solo che io ho il coraggio di dirtelo in faccia mentre gli altri no”. – “Da quando ti sei messa in testa quel buono a nulla, pace all’anima sua, tu m’hai creato soltanto fastidi”. Riattaccò a dire il padre. “Tu ti sbagli, io il mio Mario non me lo sono messo in testa ma nel cuore e nel cuore ci resterà, finché mi rimarrà un attimo di respiro! Non permetterò mai, né a padri, né a padroni di strapparmelo via. Che puoi sapere tu dell’amore? Tu che hai sempre valutato i figli alla stessa stregua delle bestie da soma che possiedi!” Il padre avvampò dall’ira e, sfilatasi la cinghia dei pantaloni, cominciò a menar colpi alla cieca. La ragazza non si muoveva, non piangeva né chiedeva aiuto e non tentava nemmeno di ripararsi da quelle staffilate: lo fissava dritto in viso con aria di sfida. Egli inviperiva sempre di più e nessun altro dei presenti, nemmeno la madre, ebbe il coraggio d’intervenire. Alla fine, sempre più esasperato, egli le saltò addosso, strappandole e facendo a pezzi il suo vestito; quindi afferratala per un braccio la scaraventò nella sua camera da letto, chiudendole la porta in faccia. “Da qui uscirai soltanto quando avrai messo la testa a partito, pazza che non sei altro! Te lo farò vedere io chi comanda in questa famiglia. E guai a te se le porterai un pezzo di pane: o si piega o si spezza, per Dio!” Urlò, rivolgendosi alla moglie terrorizzata.
L’arrivo del feretro
Il vecchio Matteo non vedendola ritornare, se ne rammaricò, ma capì, conosceva molto bene di che pasta fosse quell’individuo! Sentiva la sua mancanza e ancor più l’avrebbe sentita durante il funerale. Il giorno dopo arrivò il carro funebre, con la bara coperta dalla bandiera tricolore, scortata da una pattuglia della polizia stradale in alta uniforme. Le autorità del paese con il sindaco in testa, fregiato con fascia tricolore, presero in consegna il feretro alla periferia del paese e, al suono della marcia funebre di una banda che stonava rumorosamente, lo scortarono fino al centro della piccola piazza in fondo al corso. I paesani seguivano il feretro sinceramente commossi e molte comari, colte da isterismo, urlavano, strappandosi i capelli e battendosi il petto. Il padre di Mario aspettava solo in chiesa vanamente assistito dalla pietà del prete che già vestiva i sacri paramenti per il rito funebre.
continua
26 dicembre 2018