Accoglienza e commercio d’altri tempi: “Oste della malora!”

È praticamente impossibile trovare una distinzione tipologica e anche merceologica tra osteria, cantina e spaccio di campagna. Mentre l’osteria ha finito per assumere un significato pomposo di luogo nobile, con il termine cantina si definisce in maniera dispregiativa un ritrovo borderline. Nelle cantine, a differenza che nelle osterie, la mescita del vino prevaleva sulla somministrazione dei cibi.

 

Dove erano e chi li frequentava

Questi erano i luoghi preferiti dalla povera gente, esercizi originati dalle taverne romane e medievali. I locali erano situati all’interno della città quasi sempre in seminterrati e quindi bui e malsani. Muratori e carrettieri, i pendolari dei tempi andati, arrivavano con la merenda o addirittura con il  porta pietanze di alluminio avvolto nel classico tovagliolo a scacchi (la smalletta).

 

L’evoluzione

In seguito molti cantinieri si emanciparono dando origine ai più accoglienti bar. Roberto Svampa, uno dei maceratesi più arguti che ho avuto la fortuna di conoscere, amava dire: “Finché c’è smercio c’è guadagno”. Purtroppo morì prima dell’avvento dell’Iva e dei registratori di cassa, che in qualche maniera fecero chiudere tutte quelle piccole attività utili a un reddito di sopravvivenza, tra cui quello derivato dalle ultime cantine. Sempre in città c’erano anche le Società che erano una sorta di esclusivo club privé con apposito statuto, che stabiliva fra l’altro la data delle elezioni dei rappresentanti del direttivo, che a loro volta stabilivano le cariche sociali tra cui quella del  presidente.

 

Servizio di telefono pubblico

Gli spacci invece, oltre a vendere diversi prodotti di generi alimentari e del monopolio, avevano una grande importanza per il servizio di telefono pubblico. Quando c’era da chiamare il dottore o il veterinario si ricorreva ai gestori dello spaccio, che si trasformavano velocemente in centralinisti. Quindi, in via del tutto teorica, si potrebbe paragonare lo spaccio a una stazione di servizio. Ora dopo i banconi, gli scaffali e i frigoriferi stanno scomparendo anche quelle vecchie, nere e buffe cabine telefoniche dove le donne di campagna si rinchiudevano, come in un confessionale, per comunicare la morte della manza o la nascita di un amore.

 

Motivi di una fine

Forse il declino degli spacci è dovuto soprattutto all’abbandono delle campagne, mentre quello delle osterie è legato principalmente alla costruzione di autostrade e superstrade. Infatti, le osterie erano situate lungo le strade più frequentate, molto spesso agli incroci delle principali vie di comunicazione, come una sorta di autogrill per i viaggiatori e commercianti dei tempi andati, vere e proprie trattorie spesso con tanto di locanda e di stazione di posta per far rifocillare i cavalli e ricoverare le carrozze. I clienti, seduti ai tavoli apparecchiati con le caratteristiche tovaglie a quadretti bianchi e rossi, erano commessi viaggiatori, mediatori e allevatori reduci dal mercato del foro boario.

 

I borghi che nascevano intorno alle osterie

Intorno alle osterie si svilupparono le diverse attività di servizio e le relative residenze degli artigiani fino a formare dei veri e propri borghi, frazioni, stazioni e passi. Ad esempio, nel maceratese lungo la vallata del Chienti abbiamo Santa Maria Apparente, Trodica, Piediripa, Sforzacosa, Pollenza Stazione (in cui recentemente è stata demolita la vecchia stazione di posta), Le Grazie di Tolentino, Valcimarra di Caldarola, la Sfercia di Camerino, Ponte la Trave di Pievebovigliana, la Maddalena di Muccia, Fonte delle Mattinate con l’ultimo Ospizio dei Pellegrini, voluto dal Cardinale Ferdinando Cento e ricavato sotto la chiesetta della Misericordia nel 1960 e così via.

 

Lungo la vallata del Potenza

Anche lungo la vallata del Potenza restano ancora le tracce di questi posti di sosta e ristoro soprattutto in prossimità degli incroci con i principali centri arroccati: Becerica-San Firmano di Montelupone, Fontenoce di Recanati, Sambucheto di Montecassiano, Villa Potenza, Passo di Treja, Passo di Berta, Passo di Taccoli e Passo di Colotto di San Severino, Selvalagli di Gagliole, Torre del Parco di Castelraimondo, Fonte Canepina di Camerino, ecc. Nella vallata del Fiastra questi posti di sosta prendono una diversa denominazione: passo. Dall’osteria di Sforza Costa all’Abbadia di Fiastra, da Convento d’Urbisaglia a Passo Colmurano, da Passo Ripe a Passo Sant’Angelo in Pontano fino a Pian di Pieca, Gabella di Sarnano e oltre fino ad Ascoli Piceno. Insomma le osterie, quasi come le Pievi, erano distanti l’una dall’altra cinque o sei miglia.

Gabor Bonifazi

25 settembre 2018

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