Con questo testo, impegnativo, da leggere in tranquillità e con calma, disposti alla riflessione, la nostra collaboratrice Fulvia Foti ha ricevuto una Menzione d’Onore al IV Premio Letterario Città di Fermo.
A premessa, due parole sul contenuto del brano con il doppio titolo: l’intenzione di attirare l’attenzione sull’avanzata dell’era digitale. I “millennials” muteranno la società. Ciò non implica mutare o rinnegare le radici morali e dei rapporti interpersonali. Papa Francesco per la festa della SS. Trinità: “Dobbiamo vivere gli uni con gli altri e saper chiedere e concedere il perdono”.
Lettera aperta ai millennials – Nel profumo del sandalo
La vita è un enigma che ci porta, a volte, senza il nostro assenso, a vivere ogni attimo come un continuo baratto con l’ignoto, quasi uno squallido cilicio, del quale inconsciamente, ci abituiamo a compiacerci, anche se ci ferisce profondamente. Non è il pessimismo leopardiano. Pensiamo di proteggerci, rifugiandoci in una “corteccia rassicurante” e proviamo ogni tanto a uscire per cedere timidamente al positivo, allontanando dal profondo ogni delusione, rabbia, rancore. Perché quell’occaso non ci impedisca di essere ciò che veramente siamo e godere così del miracolo del creato che ogni giorno si rinnova: il sorgere del sole, che avvolge tutti, con il suo calore e la sua luce! Riflettendo ancora un attimo ci rendiamo conto che ogni nostra azione, anche la più insignificante, ha una sua precisa collocazione in un contesto, che noi disconosciamo e che poi è il mistero dell’universo stesso di cui noi facciamo parte. Perché l’uomo è un essere socievole e ha la necessità di comunicare con i suoi simili. L’eremita sceglie per propria volontà il suo isolamento, ma l’uomo ha la necessità di dialogare e trova nella dialettica il mezzo con cui creare quella “scherma spirituale” che consente un confronto, una sorta di propria affermazione, ma anche di comunicazione con l’altro! Perché l’indifferenza che ostenta la società di oggi nei rapporti umani ferisce l’anima e il buio dell’abbandono crea quella paura ancestrale dell’ignoto che alberga in ciascuno di noi… la dimensione del “quid”! Il silenzio che diviene solitudine, isolamento, è una voragine colma di tormento e insicurezza, che alle volte può portare anche il più saggio degli uomini al suicidio! Anche nella poesia e nelle opere del poeta indiano Tagore troviamo un inquietante percorso di ricerca interiore, per rispondere ai variegati aspetti del quotidiano, sino a raggiungere la dimensione cosmica di Dio, per dare risposta ai paesaggi dell’anima… Così il poeta si esprime nel n°19 dei Gitangali: “Se tu non parli riempirò il mio cuore del tuo silenzio e lo sopporterò”. Quindi il silenzio lo si “sopporta”! Questa scelta obbligata e rassegnata riporta alla mente la parabola del vangelo “Il perdono del sandalo”. Sembra che quando i rami della pianta del sandalo vengano recisi sotto i colpi della scure, le ferite emanino un profumo così intenso da rimanere indelebile per molto tempo sulla lama della scure stessa che pure ne ha provocato la morte. Il vero perdono cristiano dunque, dovrebbe essere come il profumo del sandalo: perenne! A questo punto è necessario ricordare che l’essere umano è l’immagine di Dio e che l’universo è nato per un atto d’amore di Dio verso l’uomo: un dono da rispettare. Il pianeta terra come ci ricorda il nostro Papa Franciscus è la nostra “casa comune”, un habitat al quale dobbiamo prestare più cure e attenzioni, poiché l’universo non è scisso e lo unifica nell’eterno il presente di Dio. Dio è il tempo stesso, Dio è eterno e l’eternità è al di sopra di ogni tempo, ove nulla è passato e niente è futuro. La realtà del tempo è nulla di permanente e pur con questa fuggevolezza del tempo, riusciamo a misurarlo, lungo o corto che sia, come affermava Sant’Agostino nell’Anima, in essa c’è l’attesa delle cose future, la memoria del passato e l’attenzione alle cose presenti. L’anima, sempre pervasa di nobili pensieri e mai cariatide! Occorre, insomma, praticare quel “Ne quid nimis” che ci regali il vero senso della vita! A questo punto vorrei aggiungere e ricordare una citazione del poeta Mallarmé, che trovo estremista e limitativa a questo proposito: “Un coup de des jamais n’abolira le hasard”. Vogliamo tagliare le ali dell’anima prima ancora di lasciarla volare? Parlando di anima, tempo, eternità ci troviamo catapultati a uno statuto epistemico non dissimile dall’esistenza di Dio. Nessuno può dimostrare l’esistenza di Dio, ma neanche l’opposto: negarla! Questa quasi contraddizione ci porta a disquisire sulla “teoria delle stringhe”, che è a tutt’oggi il più incredibile rompicapo che riguarda il tentativo di conciliazione tra le due teorie: quella della relatività e quella della meccanica. Sino a ora neanche i fisici più esperti riescono a farle conciliare. Non si può confutare la teoria delle stringhe e neanche l’opposto: negarla! Così è come per l’esistenza di Dio! Questi ragionamenti metafisici conducono verso un orizzonte più importante, più primordiale che è il “sentimento”. Questo ci consente di percepire il sapore, il gusto, il colore, il suono, il profumo della vita. Il sentimento è il sesto senso e riguarda l’anima: il sentimento è tutto! Il sentimento teologico verso Dio è nutrito dalla fede e dona una sottile sofferenza. Come è vero che Cartesio suggerisce “cogito ergo sum”, Sant’Agostino ci allarma, avvisandoci: “si cepisti, non est Deus”. E per quanto riguarda il sentimento con i nostri simili, come verificarne la veridicità, come definirlo? È forse opportuno affermare che anche per i rapporti umani è valida la teoria delle stringhe? Il “cave canem” dei nostri avi è sempre attuale. Infatti, malgrado i dolorosi eventi bellici non lontani, oggi sui cieli d’Europa minacciosi “avvoltoi” svolazzano con venti di guerra. Essi sono apolidi di mente e di anima, non hanno un cuore e la loro guerra non conosce confini, come la loro pace non ha radici. Il profumo del sandalo mai riuscirà a sciogliere quel cuore che non hanno. La guerra porta sofferenze e privazioni soprattutto ai civili, alle famiglie; cancella affetti, abitudini e sconvolge il mondo dei bambini con paure e traumi cancellandone l’infanzia con la sua innocenza, i suoi timori il suo pudore, il suo mistero, la voglia di scoprire… Eppure, per allontanare tale orrore, basterebbe affondare il nostro pensiero nell’immaginazione che ci trascini nell’infinito, irraggiungibile ma fascinoso per una sua imperscrutabilità, alzando le vele del pensiero come fosse un’apertura d’ali per cercare, come curiosi, viaggiatori del pianeta: come dei “siddartha”! Non è semplice mantenere rapporti equi di vita e alla base di ogni sentimento e situazione servono il coraggio e l’onesta lealtà di tenere viva la parola “perdono”! L’ordito della tela poetica è il cadeau dell’esperienza intellettuale dei poeti. Ricordare versi o eufemismi d’altri tempi non è precarietà di contenuti ma conferma di quanto il nostro mondo interiore sia vicino a quello degli avi e lo scorrere del tempo non muta le radici né deve mutare il rispetto del prossimo! E senza timore di esagerare citiamo il più realista contraddittorio affermatore dei sentimenti umani: Shakespeare. Il suo “essere o non essere” lo perseguita, insito nel suo animo perché teme il tempo, ha orrore della falce, detesta il tradimento. Pur se nei suoi sonetti spesso scivola a dare definizioni affidabili che possono esprimere una equa risposta conciliante per un sentimento sincero. Soffermiamoci a meditare quindi citando la frase dell’Amleto di Shakespeare: “…e tutto il resto è silenzio”.
Fulvia Foti
19 agosto 2018