Fonti marchigiane, in particolare del territorio maceratese

È inutile cercare l’origine delle fonti, perché l’acqua è da sempre elemento essenziale alla vita e ad essa si collegano storie e leggende, riti sacri e profani, proverbi e modi di dire.

 

Fonti monumentali

Nelle Marche sopravvivono ancora diverse fonti monumentali: Fonte del Calamo (1560) anche detta delle Tredici cannelle, benché ne siano solo dodici, ad Ancona, Fonte del Leone ad Urbino, Fonte Maggiore (1326) a Macerata, Fonte Allungo (1330) a Colmurano, Fonte Sant’Esuperanzio (1521) a Cingoli, tanto per citare le principali.

 

A Pollenza c’erano 28 fonti

Ma quelle delle quali nessuno scrive, pur essendo state anche esse parte integrante della vicenda umana, sono fontane sparse nei paesi, nei borghi e nelle campagne. Nelle Marche se ne contano a centinaia e soltanto a Pollenza, fino a pochi anni fa, ne abbiamo rilevate ben ventotto. Quasi tutte abbandonate, soffocate dai rovi e a livello di rudere. Dagli Statuti del 1473 risulta che a Serrapetrona c’erano oltre dieci fontane e, che il Comune provvedeva direttamente alla manutenzione delle tre principali: la Castellana, del Salecto e di Santa Maria. Quest’ultima venne restaurata una ventina di anni fa.

 

Dagli Statuti l’importanza dell’acqua

Potremmo continuare con le rubriche degli Statuti stessi per mettere in evidenza la grande importanza che si dava all’acqua, ma preferiamo sostenere come i saggi che acqua passata non macina più e che a noi andrebbe troppo stretto il modo di dire “acqua cheta”. Comunque la fonte, la fontana lavatoio, la peschiera e il più modesto fontanile sono manufatti infrastrutturali costruiti per preservare l’acqua che in questi tempi o è inquinata o scarseggia per il cattivo uso che se ne fa.

 

Le lavandaie del Bartolini

Si potrebbe concludere questo breve excursus con le lavandaie per offrire uno spaccato di storia-sociale e richiamare quel tipo di sapone ricavato dal sego e dalla cenere che Plinio chiamò “sapo” o la lisciva utilizzata per il bucato che originò il modo di dire: “ti riduco in cenere e panni sporchi”. Ricordiamo che il nostro Luigi Bartolini incise diverse lavandaie alla fonte da dietro per meglio ritrarre i fianchi possenti, e che a Pavia è stato dedicato alle lavandare addirittura un monumento bronzeo. Anche il Pascoli le immortalò con i seguenti versi: lo sciabordare delle lavandare / con tonfi spessi e lunghe cantilene. Si potrebbe concludere coi versi del Petrarca: Chiare fresche e dolci acque.

 

Bacco e la fonte di Andria che zampillava vino

Si potrebbe altresì parlare dell’utilizzo dell’acqua come energia, anche se sarebbe più romantico chiudere con l’elogio all’acqua tra superstizione, favola e leggenda. Magari con l’amplesso vissuto nella fonte da Alfeo e Arethusa oppure con il mitologico Bacco e la Fonte di Andria, da cui la leggenda vuole uscisse il vino.

Arch. Gabor Bonifazi

Macerata – Fonte Agliana

7 agosto 2018

A 3 persone piace questo articolo.

Commenti

commenti