Incontro al Cairo con l’egittologa marchigiana Giuseppina Capriotti

Sono giunto in un palazzo color crema, risalente ai primi decenni del Novecento, posto ad angolo al civico 14 di sharia Champollion, in alto si notano due stemmi di casa Savoia. Già sede del consolato italiano, l’edificio si trova ad alcune decine di metri da piazza Tahrir al Cairo. Questa piazza, recentemente sistemata, dal 2011 è alla ribalta della cronaca per le note rivoluzioni. C’è ben poco da vedere se si escludono il grande complesso rosa del museo Egizio, la piccola ma storica moschea di Omar Makram (oppositore dei francesi di Napoleone) e un bel palazzo storico non visitabile forse perché governativo.

 

L’incontro

Devo incontrare, finalmente, la manager del Centro Archeologico Italiano nel suo ufficio. È l’egittologa marchigiana Giuseppina Capriotti. Al di fuori della sua professione ama raccontare e divulgare, pregio non comune negli specialisti; naturalmente ama la Regione Marche e l’Italia. Nella tranquillità della saletta convegni mi racconta… mentre fuori scorre il traffico di milioni di auto della megalopoli. Ritengo che il rumore di fondo sia il doppio, forse il triplo di Roma.

L’ufficio di Giuseppina Capriotti

 

Ricerca infruttuosa a Treia

Quando Giuseppina aveva trentadue anni, durante il dottorato, il tutor le disse: “Lei è marchigiana, ho sentito dire che in una chiesa, in un paese forse di nome Traia, ci sono statue egizie”. Lei pensò: “Sarà Treia” e decise di andare a vedere una domenica, insieme con il marito e il figlio, che aveva meno di due anni. Intorno a mezzogiorno arrivarono nel centro storico, ma non trovò nessuna statua. “Andiamo a trovare un ristorante” le suggerì il marito, lei rispose: “No, troviamo prima le statue”. Ma la ricerca ebbe esito negativo. Terminata la Messa andarono tutti a pranzo, mentre dalle finestre si sentiva un buon odore di lasagne, da noi chiamate “Vincisgrassi”.

 

L’ispirazione

A tavola le venne l’ispirazione: “Se ci sono delle statue egizie, saranno arrivate in epoca romana, allora devo cercare il sito romano, che deve essere fuori dall’incastellamento medioevale”. Chiese al ristoratore: “Dov’è la città romana? C’è una chiesa?”. L’uomo rispose: “Sarà il Santissimo Crocefisso”.  Così dopo pranzo andarono e trovarono le statue egizie sulla facciata del campanile della chiesa. Erano gli inizi degli anni Novanta. Fu molto aiutata dal geometra comunale Benito Lausdei, dal guardiano dei francescani  padre  Giuseppe  Concetti  e  da  Giuliano De Marinis, soprintendente archeologo delle Marche.

Treia statua divinità egizia in diorite

 

La scoperta e l’inizio di una ricerca

Così nacque una ricerca sugli oggetti egizi nelle Marche, ma poi le ricerche si estesero a tutto il medio versante adriatico, in particolare alle Marche e anche all’Abruzzo. Fu poi pubblicata dall’Università di Macerata, grazie anche all’interessamento del professor Gianfranco Paci e con un finanziamento dell’azienda “Sira” di Treia. Giuseppina afferma: “Il fenomeno dei ritrovamenti egizi riguarda tutta Italia, e dunque anche le Marche”.

 

Commerci nel periodo Piceno

Come arrivarono queste statue e reperti? “In epoca preromana, per esempio durante il periodo Piceno, nelle Marche arrivavano piccoli amuleti, prima indossati e che poi erano deposti nelle tombe. Giunsero grazie al commercio greco o fenicio. In epoca romana nel caso di Treia arrivano oggetti di proporzioni più grandi legati al culto di Iside e di Serapide, divinità di origini egizie, il cui culto si diffuse durante l’Impero. Dove oggi c’è la chiesa e il convento del SS Crocefisso c’era un tempio dedicato a quelle divinità”.

 

Statue originali nel museo di Treia

Le statue sembravano solo due, poi si è appurato che dovevano essere in origine almeno quattro. D’accordo con il Comune, i Francescani e il soprintendente De Marinis si fecero eseguire delle copie delle due meglio conservate: gli originali sono custoditi oggi al museo Civico di Treia. Le copie furono eseguite da Carlo Usai, un bravo restauratore che ha lavorato a lungo in Egitto.

 

L’aneddoto

Per quella scoperta la nostra egittologa ci racconta un aneddoto in due fasi. Il geometra Lausdei le trovò un cestello con il braccio meccanico. Salita la prima volta sulla facciata in alto, si accorse che dietro c’era un nido di calabroni: non si poté avvicinare più di tanto. Ci tornò una seconda volta, ma… era inverno e c’era la neve, stavolta, nonostante il freddo, prese le misure e… scese mezza assiderata.

 

Il padre Domenico

Ora regala al lettore qualche retroscena, con un po’ della sua umanità. Tutta la sua passione per la storia la deve al padre Domenico Capriotti, vero cultore della storia di Acquaviva Picena (AP). Agli inizi degli studi di Egittologia le diceva: “Ma tu che ami tanto la nostra terra adesso studierai una terra lontana!”. Dentro di lui però era contento e orgoglioso. Mai avrebbe immaginato di lavorare come egittologa sul Piceno! La segnalazione del tutor avvenne venti giorni dopo la scomparsa del padre, al quale ha dedicato il libro, frutto delle sue ricerche.

 

Oggi vive al Cairo

Dopo un lungo percorso scientifico e professionale vive da due anni al Cairo quale manager del Centro Archeologico Italiano, coordinando più di venti missioni italiane. La decisione di partecipare al concorso che l’ha condotta a lavorare in Egitto è avvenuta poco dopo la perdita dell’amato marito Antonio Vittozzi. Il quale aveva percepito il suo profondo amore per le antichità egizie, sostenendola durante il suo percorso professionale e auspicando che potesse ricoprire quel ruolo.

Saletta convegni

 

Quella trasferta…

Ricorda una sua trasferta di studio e ricerca in Germania a Treviri (Trier), al confine con il Lussemburgo, il figlio piccolo era rimasto col padre. Ogni quindici giorni tornava a casa a Roma percorrendo in treno oltre trenta ore…  per restare in famiglia solo diciotto ore! Oggi serenamente afferma: “Nella vita bisogna riconoscere le benedizioni che si ricevono, non solo i dolori. Aver conosciuto l’amore dei familiari e non solo è la più grande gioia. Mi sento fortunata a fare un lavoro che amo tantissimo come ricercatore del CNR che apprezzo molto e, adesso, a lavorare per l’Italia nel Centro Archeologico al Cairo (Istituto Italiano di Cultura, Ambasciata d’Italia).

 

Grande tradizione dell’egittologia italiana

L’egittologia italiana ha una grande tradizione, riconosciuta anche in campo internazionale, è sostenuta dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e si basa soprattutto sul sacrificio e la passione delle singole persone”. Nel mese di maggio 2018 sarà pubblicato il VII volume del RISE (Ricerche italiane e Scavi in Egitto) che racchiude i rapporti di scavo delle missioni italiane in Egitto. Uscirà solo online sul sito dell’Istituto Italiano di Cultura e del Centro Archeologico Italiano. Il mio incontro termina piacevolmente con un leggero pranzetto al ristorante Felfela (1959), al n° 15 di Talaat Harb street, molto noto e specializzato nella cucina vegetariana egiziana, ma ha anche piatti internazionali. Ci allieta con i suoi aneddoti il dottor Francis Amin, guida ed esperto di antichità egizie, affabulatore nonché gallerista.

Eno Santecchia

Cairo via Champollion

25 luglio 2018

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