Nel 2018 ricorrono 110 anni dalla fondazione del cantiere navale “Santini” di Civitanova Marche, posto al civico 83 di via Mazzini, un’attività dalla lunga tradizione che si è evoluta nel tempo.
L’inizio
Nel 1903 Ruggero Santini (1885-1951) nella sede attuale aveva una segheria elettrica, dove si costruivano casse da imballaggio e forniture per la Marina. Quell’opificio fu premiato con medaglia d’oro all’esposizione di Roma del 1907, in seguito, nel 1928, ebbe il Grand Prix e medaglia d’oro a Liegi. Quando venne alla luce Antonio Santini (1908-1964) suo nonno Giuseppe, manovale in Canada, inviò una somma in dollari al figlio Ruggero che la usò per ampliare la sua attività di segheria, iniziando a costruire le prime imbarcazioni da pesca e da piccolo cabotaggio.
La ricerca di Carla Mascaretti
Nel 1998 la signora Carla Mascaretti, direttrice della biblioteca “Silvio Zavatti”, compì l’ampia ricerca “Giuseppe Santini, una vita per le barche. Ricordi del maestro carpentiere e di altri sulla vita marinara civitanovese” pubblicata dal Centro Studi Civitanovesi n° 7 e corredata di numerose e interessanti foto storico-documentarie di Ciro Lazzarini, e di altri. In quella ricerca affiorano piacevoli i ricordi da bambina dell’autrice. Un’appendice contiene l’elenco dei battelli costruiti dal cantiere in esame. Riprendo (non copio) alcune notizie da quel dossier.
L’incontro con Giuseppe Santini
All’epoca la Mascaretti poté incontrare Giuseppe Santini, uno dei più anziani maestri d’ascia d’Italia, durante l’allestimento della mostra: “Il viaggio e il mare. Da Civitanova al mondo e ritorno: viaggi di mare e viaggi… di carta” organizzata dalla medesima biblioteca e dalle scuole dell’obbligo civitanovesi, che si tenne dal 18 al 31 maggio 1997 all’Ente Fiera. Il Santini (classe 1913), con il carretto portò alla mostra materiale vario che suscitò l’ammirazione del pubblico.
La vecchia foto e il racconto
Una coincidenza aiutò Carla: recatasi dai parenti a San Benedetto del Tronto era riuscita a trovare una vecchia foto di Giovanni Mascaretti, suo parente, che negli anni Trenta aveva lavorato nel cantiere Santini. Grazie anche a ciò i lontani ricordi affluirono alla mente di Giuseppe che poté raccontare. Sin da ragazzino Giuseppe aveva appreso dal padre Ruggero il mestiere di lavorare il legno. Finiti gli studi fino alla sesta classe e poi il servizio militare, negli anni 1935-36 iniziò a lavorare a tempo pieno nel cantiere paterno. Tutta la famiglia vi era impegnata, la madre Luigia vendeva la legna: trucioli, segatura e le tacchiette di legno, scarti della lavorazione delle tavole.
Il legname
I tronchi di quercia provenivano dai terreni attorno all’abbazia di San Claudio al Chienti, mentre gli olmi per le “opere morte” da Montegiorgio, sopra grossi carri adibiti al trasporto pesante. Ruggero partiva in bicicletta per recarsi a Crispiero di Castelraimondo a scegliere e acquistare le querce, alloggiava settimane intere presso le case dei contadini. Tant’è che il figlio Giuseppe a Crispiero vi conobbe la moglie Clara.
“Cerquabella”
Prima dell’ultimo conflitto mondiale, alle piane di Montegiorgio, nei possedimenti del conte Canucci, i Santini avevano acquistato una partita di querce, tra di esse una monumentale era chiamata “Cerquabella”. L’albero secolare era già tanto maestoso e così ammirato che gli abitanti della zona si opposero fermamente al suo abbattimento. La splendida quercia si salvò dai segoni tirati da due uomini e lo stesso quantitativo di legname fu ricavato da altre querce minori. Malauguratamente quell’esemplare, molto conosciuto e già indicato in una mappa del Touring Club Italiano, ha smesso di germogliare nel 1986.
Le lancette
All’epoca a Civitanova Marche erano attivi diversi cantieri navali, i maestri carpentieri erano mandati in trasferta per costruzioni o riparazioni in altre regioni adriatiche. In questa città si costruivano in genere le lancette, barche di legno da pesca lunghe da 6 a 12 metri. In città giungevano per lavoro anche operai di altre città portuali e, naturalmente, anche acquirenti. I Santini ebbero clienti anche di Cesenatico, Chioggia Grado, e Zara in Dalmazia.
I primi motori
A un dato momento sui pescherecci si montarono i primi motori, evidenzia la Mascaretti: “…il progresso faceva sentire i suoi influssi benefici e non erano ancora arrivate le turbolenze degli anni successivi”, facendoci capire che si trattava di un periodo di crescita, ma senza gli stravolgimenti degli anni successivi. Aveva ragione… Antonio Santini mi mostra, al riguardo, una vecchia lettera degli anni Trenta dove si capiscono le caratteristiche dei primi motori a olio pesante raffreddati ad aria: un motore Bolinder’s da 16 a 20 cavalli vapore pesava 460 chilogrammi (netti), i giri al minuto erano 900-1000. È convinto che quel propulsore a combustione potesse essere montato a bordo di una lancetta sotto i dieci metri di lunghezza.
Il brigantino e la lancetta “Santa Barbara”
Giuseppe Santini (fratello del nonno di Antonio) costruì a mano anche un battello simile a un brigantino, un agile veliero di dimensioni contenute. Fu realizzato da un disegno tratto da un libro di Emilio Salgari. Sulla prua risaltava una polena scolpita in un unico pezzo di legno, come nelle migliori tradizioni della marina velica, da Mauro Merani, costruttore navale e velista dall’accento ligure. Dotato di alberatura e velatura era idoneo alla navigazione d’altura ma non fu provato in mare né varato: ebbe un amaro destino. L’imbarcazione fu acquistata dal Comune di Civitanova Marche. In seguito il capitano Mori lo fece appoggiare nei pressi del museo del Trotto da lui fondato. Giuseppe cedette al Comune anche la lancetta “Santa Barbara” che oggi si trova nella rotatoria per il lungomare Nord.
Cosa succede oggi?
Antonio insieme con il fratello Simone sono sempre in trasferta tra Ancona e Civitanova Marche per la manutenzione e la riparazione di pescherecci di legno. Con l’avvento dei nuovi materiali quali vetroresina, materiali compositi, leghe metalliche la costruzione in legno non ha più richiesta. Oltre ai costi superiori per la costruzione dovuti alla manodopera specializzata ci sono pure problemi successivi di manutenzione.
Qualche segreto…
Antonio ci svela dei particolari costruttivi conosciuti solo dai pochi addetti ai lavori rimasti. Il legname importato oggi: rovere francese, americano e di Slavonia, non ha la stessa tenacia e resistenza della quercia nazionale, oggi protetta dall’abbattimento. Il rovere di Slavonia è molto utilizzato per la costruzione di botti per il vino. In Francia ancora esistono boschi di rovere fatti piantumare da Napoleone, che in quel settore si è dimostrato lungimirante. Per realizzare alcune parti strutturali del fasciame di un’imbarcazione di legno occorrono tronchi di albero curvi naturalmente, perché c’è bisogno che la venatura e la fibra del legno seguano quelle che sono le curvature delle strutture e del fasciame. Prima a Montecosaro Scalo aveva sede la segheria Bellesi, una delle più grosse del centro Italia. Oggi Antonio, quando ha bisogno di legno per le riparazioni, deve recarsi ad Amandola o a Comunanza ove si rifornisce per le tavole del fasciame e della struttura di rovere e quercia che mette a stagionare naturalmente al coperto, almeno 4 mesi.
I problemi della pesca
Non annoiamo il lettore con quanto sia laborioso sostituire anche una sola tavola di fasciame da una imbarcazione da pesca di legno. Sui possibili sviluppi della pesca nel nostro piccolo mare Antonio non è ottimista. L’evoluzione tecnologica ha portato a un aumento della pressione di pesca per cui oggi iniziano a mancare le specie ittiche alimentari più richieste dal mercato. A suo parere ciò è dovuto all’aumento del la potenza dei motori in dotazione ai pescherecci. Anche le attrezzature da pesca sono diventate sempre più aggressive verso i fondali, pertanto l’Unione Europea è dovuta intervenire ponendo dei limiti a quelle che sono le misure del pescato e hanno interdetto alla pesca delle zone di mare per consentire il ripopolamento.
Motori sempre più potenti
Oggi i pescherecci montano motori sempre più potenti, siamo arrivati a 1600 HP e circa 50.000 cc di cilindrata, con eliche a 5-6 pale del diametro di circa 2,60-2,70 metri, magari intubate con mantello “Kort nozzle”. Reti lunghissime e gabbie da pesca sempre più larghe. Con sconforto Antonio enuncia a bassa voce: “Ciò che non entra dentro resta malconcio…”. Per quanto riguarda le apparecchiature elettroniche di bordo hanno fatto passi da gigante il radar, il GPS, l’ecoscandaglio, il computer, il pilotaggio automatico, che sicuramente hanno migliorato le condizioni di sicurezza e di vita dei pescatori.
Il rovescio della medaglia
Il rovescio della medaglia è che queste apparecchiature sono utilizzate anche oggi per intensificare ancora di più lo sforzo di pesca. A esempio esse consentono all’imbarcazione di pescare più vicino agli ostacoli (relitti, scogli ecc.), mentre una volta dovevano tenersi a debita distanza per salvaguardare l’integrità delle loro reti, quindi attorno restavano delle ampie zone di ripopolamento. Antonio ci lascia con un monito: “L’equilibrio s’inizia ad alterare, è urgente essere più ‘razionali’ e non cercare di ‘industrializzare’ tutto”.
Eno Santecchia
12 luglio 2018