“Giuseppe Sabbatini!” Sobbalzò a quel richiamo il ragazzino silenzioso che, sdraiato nella sentina di quel fetido bastimento, guardava da ore il ragno appeso alla sua complicata tela, che rollava avanti a sé, cullata dall’interminabile moto delle onde.
L’incontro
Chi poteva conoscerlo in quel sito disgraziato che lo conduceva lontano da casa, verso un destino ignoto? “Mario!” – “Anche Tu qui”. E giù un abbraccio, di quelli che ti fanno coraggio, che spalancano la giornata. Ecco infine il porto. La città sconosciuta. Quel cicaleccio nuovo e senza senso. Disinfestazione, identificazione… “Motivazione?” – “Sono qui per lavoro, come gli altri”.
L’Argentina
Così cominciava l’avventura nella agognata terra argentina ove il nostro aveva preso finalmente piede, fuggendo dal ripugnante destino di nullità cui lo avevano destinato le umili origini di colono, come tutto il volgo di allora. E così giù fino a Rosario, sballottato da quel rude biroccio che, a ogni buca, ti dà uno scossone mai visto.
L’idea
Che idea però! Perché non costruire birocci? Non è facile, sapete. C’è da lavorare sodo, di braccia, ma anche di mente, partendo dalla scelta del legno per il timone e poi gli assali, le ruote robuste da forgiare con il fuoco che dilata i cerchioni e con l’acqua che li restringe. Quanti ne avrà visti nascere – nella pampa – il nostro Giuseppe! Quanti scapaccioni avrà preso! Ma infine ha imparato. Quel giovane virgulto si è visto crescere la barba, ha appreso il linguaggio latino; è pronto per il grande ritorno. Francesco rimane lì. Era il suo caro fratello, ma ha messo su Famiglia e non torna indietro.
A Recanati
Recanati – la sua Città – lo attende e così, mettendo a frutto il sudato lavoro, lascia la terra e apre una bottega. Artigianale si direbbe oggi; lì si fa di tutto: con il mantice per attizzare il fuoco, l’incudine per battere il ferro, la sega circolare e la pialla. E poi i pennelli. C’è, infatti, da dipingere un bel Sant’Antonio che protegga le sue bestioline, l’immancabile mazzo di fiori, la robusta vergara e la colomba in mano o sulla spalla della sposa. Ecco il biroccio finito e Giuseppe vede finalmente il suo nome su una delle sponde, con tanto di data, che quella non manca mai.
Ecco Giuseppe “Vir iustus”
Ora è il tempo dei figli: numerosi e forti ma alcuni così sfortunati! Tanto amore, tanto sudore, tanto dolore, tanto futuro da sognare. Ecco il primo successore, il sostegno: ecco il più giovane infine. Facciamolo studiare; e il primo nipotino: “Giuseppe” – è di nuovo lui. È bella la mia storia, viene da lontano. Come quel nome, un tempo tanto amato e ora forse non più. Però merita rispetto: “Vir iustus” è il suo attributo, ricorda un passato sereno, costituisce un impegno da non tradire, da tramandare. Riuscirò?
Giuseppe Sabbatini
8 luglio 2018