Non posso parlare di Ivo Pannaggi come pittore e architetto di avanguardia di risonanza internazionale, perché so pochissimo della sua arte. Vorrei dire però che l’ho incontrato, in una stagione della mia vita forse sfumata ancora di rosa, come appendice di quel “ridotto” estroso che era per me e mia sorella Anna, amanti del Teatro, il negozio dei fratelli Buldorini.
Ivo Pannaggi mi sembrò subito una persona di estrema vitalità, certamente origine e riflesso della sua arte, ma soprattutto un uomo cordiale, autentico, quasi affettuoso. Aveva insomma la naturalezza e il distacco di chi è libero di trascinarsi, avendo superato da tempo le angustie di un certo ansioso provincialismo, e spaziato con equilibrio e consapevolezza in terre lontane. Dalla esposizione appena ventenne in una mostra alla Casa d’Arte Bragaglia, con l’accoglienza entusiasta di Marinetti, Ivo Pannaggi infatti attraversa il tempo in Italia, in Europa e altrove con una intensa attività che riguarda anche il Teatro, la scrittura di Manifesti, i Fotomontaggi, le Caricature, fino a conquistare un posto nel Museo d’Arte Moderna di New York per il suo primo e amatissimo quadro “Mia madre legge il giornale”.
Passa per esperienze umane e avventure in Germania, nella zona polare artica, a Rio de Janeiro, nell’Antartide e in Groenlandia, a caccia di balene e di foche, fino all’approdo nel “ridotto” dei fratelli Buldorini, oasi generosa e insieme eco della passione per l’arte che non sa morire. Adesso che sto scrivendo di lui, lo vedo in un palco del Teatro Lauro Rossi, con Mario, Margherita e mia sorella, seduto accanto a mia madre; lo vedo imponente, quasi maestoso, con quel ciuffo di capelli bianchi legati sulla sommità del capo, che evocava vagamente pagode e giardini. Gli occhi di tutti gli spettatori erano puntati sul nostro palco. Mia madre, donna di solito esente da timidezze, era un po’ imbarazzata: a quel tempo la trasgressione era ancora una parola densa di significati. Ma sono sicura che nel caso di Ivo Pannaggi non si trattasse di trasgressione. Penso fosse una stravaganza, una trovata, un guiz-zo di allegria. Per sé, per gli amici, per gli spettatori. E in seguito, per Macerata, dove divenne un amabile personaggio. Mi dispiace che l’ultima immagine che ho di lui sia quella nella Casa di Riposo, dove, ormai lontano dal “ridotto” Buldorini, e da sé, viveva il dramma terribile che è la vecchiaia, quando la vecchiaia sa essere impietosa. Di Ivo Pannaggi mi parve che egli conservasse, ogni tanto, quando si presentava l’occasione, la luce ammiccante della sua tenerezza sanguigna per le donne.
Franca Petracci (tratto da “La rucola” n° 130 del febbraio 2009)
6 luglio 2018