Tra sogno e realtà: “Storia di un cacciatore di ombre”

Mi presentai in un pomeriggio assolato, sbadatamente battendo la porta. L’impiegato era lì, con il computer su cui giocava agli scacchi e il tramezzino smozzicato, come ogni buon travet di questo mondo. Il fumo poi; quello usciva dal cassettino, socchiuso in gran fretta, perché il mio rumoroso arrivo poteva far comparire il capufficio che la sigaretta, quella no. Perché fa male e poi… il fumo passivo… Non c’era gran gente; anzi direi che eravamo soli io e lui; i timbri – belli e allineati – erano pronti. Nome, cognome, data e luogo di nascita, altezza, peso, professione, fotografia, marca da bollo. “Ha militato?” Mi sentii finalmente a mio agio, ma decisi di farla cascare dall’alto. “Sì, perché?” – “Sa, se non l’avesse fatto, occorreva il certificato…” – “Quante storie, ma io voglio solo la licenza da cacciatore di ombre”. “Ah! Ma allora poteva dirlo prima”. – “Capo! Ce n’è un altro”. A quel dire si affacciò sull’uscio dell’ufficio principale un omone che faticava a passare dalla porta. Mi colpirono le mani. Non nel senso che mi allungò uno scapaccione per aver disturbato la sua siesta; che altrimenti – trattandosi di due badili – mi avrebbero accoppato lì. “Ma che succede oggi?” – “Tutti qui per questa maledetta licenza”. – “Lei è il numero 17”. – “Lo sapevo: è da quanto vado a Scuola che sono il numero 17. Ma in fondo è il mio numero fortunato”. – “Ecco: prema qua”. E così, uscendo trionfante, finalmente munito di quella licenza che agognavo da tempo, mi ritrovai con il polpastrello inchiostrato a dovere, ‘ché l’inchiostro da timbri è sempre così difficile da mandar via. Ma certo, però così nessuno avrebbe potuto usurpare la mia licenza. Mi misi subito in caccia ma, sapete, non è mica facile catturare un’ombra. Certo è che, con il sole smagliante di quella giornata, di ombre ce n’erano in giro. Tante. Per fortuna il sole era ancora alto e così gli oggetti della mia ricerca tutto sommato erano ridotti. Si fa per dire: avete mai provato a catturare l’ombra di un palo della luce? Ve lo dico io come si fa: si sceglie accuratamente il soggetto da ritrarre: lungo e affusolato, ma ve ne sono anche ricurvi ed anche contorti. Io preferisco i primi, non fanno storie. Ma dovete aspettare un bel mezzogiorno d’estate, quando il sole picchia alto e l’ombra è così ridotta che riuscite a prenderla tutta.  Ma non sono quelle le ombre che mi piacciono. È bella quella dell’aereo che vi trasporta in un volo tranquillo. Si posa dolcemente sul terreno, sul fiume che attraversi, sulla casa dove ti aspetta colei che ami; sulla barca che veleggia tranquilla con quei naviganti che salutano a grandi gesti, un po’ invidiandoti; sulla Piazza del Paese e anche sul Cimitero. È la vita che scorre, con te che la sorvoli. L’ombra è fedele; riproduce le fattezze dell’uomo, delle bestie e delle cose, ma è mutevole, ti sembra quasi di poterla acchiappare, ma devi fare subito attenzione perché spesso puoi rimanere con un pugno di mosche fra le mani e anche se qualche volta ti avverte di un pericolo devi far presto, prima di lui. Vedi quell’agnellino che vola lassù, fra le grinfie dell’aquila? Non ha capito che – la scomparsa della luce sulla testa – sarebbe stata la sua fine. Ma ci sono anche ombre curiose. Le chiamiamo cinesi. Quelle sono facili da catturare, perché si mostrano a comando, ti fanno sognare, a volte arrossire e scaldare, ma se poi invece scopri che per lei il tempo è scorso troppo veloce… Sono interessanti le ombre; è per questo che le caccio. Ma chi ha inventato la licenza per farlo? Non è come pensate: è invece la solita storia che la tassa, pur piccola, mai finisce. Ma io ho deciso: diverrò evasore. Sapete come farò? Impugnerò la mia fida Rollei e così le catturerò fotografandone quante, come e quando lo vorrò; con la luce s’intende. D’altro canto me lo dicono da sempre che sono un tipo obbiettivo.

Giuseppe Sabbatini

26 giugno 2018

 

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