Disegnai nel 2010 “La Donna che stendeva la pasta” per La Gazzetta Italiana di Cleveland (Ohio) che mi chiese un contributo sulla cucina italiana. Avevo sfogliato a Sarnano “Il Mangiarozzo” di Carlo Cambi, giornalista toscano, maceratese per adozione, durante una conferenza “appetitosa” con ricette e ricordi della cucina di una volta. Carlo, per l’edizione 2010 aveva visitato 1300 locali con il naso in cucina e sedendosi a tavola ma senza giudicare: “Posso dire solo che questo piatto mi piace di più”. Curiosa la sua distinzione tra cuoco-uomo e cuoco-donna. Ricordando studi americani, pose l’origine del matrimonio nei compiti per la sopravvivenza, quando l’uomo 20mila anni fa cacciava e procurava il cibo, mentre la donna lo cuoceva. Disse di capire vedendo il solo “piatto” chi era stato l’artefice della preparazione, se uomo o, invece, donna. La donna cucina per nutrire, invece l’uomo per apparire. La donna prepara piatti che emanano profumi, dotata com’è di speciali sensazioni olfattive; fa porzioni seducenti e abbondanti. L’uomo tra i fornelli usa il sale, si lascia andare a forme, colori e composizioni ricercate per fare colpo. L’impiattamento è una opera d’arte ma piccola. Carlo Cambi, ispirandosi al film “Amarcord” di Federico Fellini, raccontò di sua nonna emiliana la quale, per giudicare la giusta stesura della sfoglia di pasta fresca, diceva che il momento in cui era ora di smettere col matterello era quando una “goccia di sudore dal collo aveva percorso la schiena”. Questo per dire che la buona cucina si fa con l’impegno e con la passione. Sui cibi, creduti afrodisiaci, sfatò il finocchio, il pecorino, i tartufi e i funghi. Ne mise in evidenza, invece, sia il gusto che il profumo. Finì l’incontro tessendo le lodi della “pudica” e sapiente cucina marchigiana: “Il mio ricordo va ai vincisgrassi, caldi di forno a legna, con maghetti e cosparsi di dorata besciamella”.
Vermiglio Petetta
31 maggio 2018