A Montelupone c’è un pittore: Tobia, il Ligabue delle Marche

L’appuntamento con Laura e Carlo Iacomucci è in piazza a Montelupone. Sono le 17:30 del 5 ottobre. Il pomeriggio è splendido e il sole ancora rende mite la temperatura. Io e Daniela con i nostri amici saliamo lungo una stradina in mezzo alle case, così stretta da lasciar passare a malapena una macchina. A un certo punto la stradina svolta bruscamente e continua a inerpicarsi. Lì all’angolo, di fronte a una piazzetta che accoglie un piccolo parcheggio, sorge la casa dell’artista al quale andremo a far visita. Si tratta di una costruzione antica. La facciata esterna porta i segni dell’usura del tempo. Qualche crepa si insinua tra i mattoni a vista. Gli infissi danno l’idea di non essere più spalancati da chissà quanti anni. Pure il portone mostra gli acciacchi della vecchiaia. Bussiamo con forza, nel timore di non essere sentiti. Invece il portone si apre quasi subito e compare la figura di un uomo la cui età rimane indefinita. Sicuramente non dimostra quei novantadue anni che ci confesserà più tardi con fierezza. La prima cosa che mi colpisce di Tobia è il suo sorriso furbo incorniciato da due baffetti neri alla Charlie Chaplin. Porta un cappellino nero, stile marinaro, che gli copre la fronte. Dietro fuoriescono capelli ondulati, neri anche loro, con lievi sfumature di bianco. “Tobia, come vedi il dottore ha mantenuto la promessa ed è venuto a farti visita!” così lo saluta Carlo. Subito Tobia ci guida per una scala ripida al secondo piano dove tiene in bella esposizione tutti suoi quadri. Coprono completamente le pareti di due stanze attigue e i loro colori danno a quel luogo una dimensione surreale… Le stesse travi che faticano a sorreggere il soffitto acquistano un fascino particolare.  Se  ne stanno lì da quattrocento anni. L’ultimo terremoto, a ottobre del 2016, le ha messe a dura prova. Chi porta evidenti i segni di quella scossa maledetta sono le pareti, screpolate qua e là. La mia attenzione è tutta rivolta alla moltitudine dei dipinti, piccoli e grandi, apparentemente quasi elementari, eppure così affascinanti. La minuziosità dei particolari è resa con una pulizia sbalorditiva nella molteplicità dei colori che mai si scontrano o si annullano. La nitidezza del suo tratto dà un ampio respiro a quegli scorci di paesi abbarbicati sopra le colline marchigiane che si mescolano senza soluzione di continuità a soggetti astratti, fantastici, campestri. Non avevo mai visto tanta capacità espressiva realizzata con una semplicità che solo un puro, un sognatore, può racchiudere dentro di sé. Avrei desiderato guardare ogni pittura in silenzio, gustarmela, ma con Tobia questo non si può fare. Esiste un cerimoniale ben preciso al quale nessuno può sottrarsi. Lui è la guida, lui spiega, lui interroga, lui insegna. Ti introduce nel suo mondo ed è impossibile non entrarci. Ogni teoria convalidata nei secoli crolla miseramente di fronte ai suoi teoremi… Il suo motto è: “La verità non ci è stata mai detta”. E le sue opere sono il risultato della sua personalissima visione della scienza. E dimostra, nel sostenerla, un’arguzia tale che ti lascia sbalordito e a tratti ti mette in crisi. Ti viene istintivo chiederti dove un uomo di novantadue anni trovi la lucidità per far quadrare le sue tesi e per contraddire tutto e tutti. Non si può dire certo che non sia uno spirito libero, che non si assoggetti ad alcun formalismo. Viene addirittura il dubbio che lui stesso non si renda conto dell’enorme patrimonio artistico che è riuscito a produrre in tutti questi anni. È geloso di quel patrimonio, è suo e basta e lo mostra solo a chi gli fa piacere. “Non cerca onori” …dei soldi non ha bisogno. Coltiva un orto che produce qualsiasi tipo di verdura, che sempre regala ai visitatori di turno. Vive da solo per scelta perché afferma, con un sorrisetto alquanto malizioso, che “le donne ti mettono il cappio e ti fanno campare di meno…”. Vive del passato e con il passato. La tecnologia non è ancora entrata in casa sua. La grandezza di Tobia, che definire un personaggio eccentrico è restrittivo, sta nella sua semplicità, nella sua ingenuità. L’ingenuità di un bambino che dal mondo vorrebbe solo il bene ma che purtroppo è costretto a scontrarsi con il male.

Valentino Lorenzetti

27 novembre 2017

 

A 9 persone piace questo articolo.

Commenti

commenti