Si fa fatica a credere che sia la stessa frazione dove una settimana fa si poteva, per dire, fare indisturbati pipì sul ciglio della strada, tanta era la certezza della solitudine. Macchine parcheggiate ovunque, gente su e giù per la provinciale. Passeggini, signore anziane, giovani con le magliette dei comitati locali, tante e tutte diverse. E poi tecnici di chissà quale tv. Sembra la festa del santo patrono.
Questa però non è la cronaca in diretta di una tragedia buona per l’audience di un programma del pomeriggio. È una storia di norme applicate in maniera inflessibile ed è, soprattutto, una storia di vecchi di pietra, duri come la montagna.
La storia della casa di Peppina
In sintesi, la casa di legno (una vera casa, con tanto di impianti e gettata) è stata edificata dopo indagine geologica per verificare l’idoneità del terreno, in un’area edificabile di proprietà di una delle figlie della signora. La casa è a norma, ma priva della necessaria concessione edilizia anche perché non soddisfa i rigidi vincoli paesaggistici in vigore all’interno dei confini del Parco dei Sibillini. Qualcuno ha sporto denuncia, e l’iter giudiziario parte, implacabile. Arriva l’ingiunzione di sfratto, previsto per lunedì 18 settembre, ma i carabinieri della forestale si presentano a casa della signore in anticipo, sabato. Scoppia il caso, alla signora vengono concessi altri 15 giorni prima dello sgombero definitivo. La soluzione, secondo la famiglia, può essere solo politica. Sarebbe necessaria una deroga alla legge sui parchi, che è nazionale. Dal punto di vista tecnico, Comune e Regione non possono fare molto, in questo senso. La soluzione che viene prospettata in queste ore è l’abbattimento della vecchia casa, gravemente lesionata: in questo modo, la volumetria rimarrà identica. No comment. (Per chi vive fuori dalla Regione “Marte”: case di legno di varia natura sono sorte come funghi dopo le scosse di ottobre, ben protette da siepi e ramaglie, e tante ne ho viste vagabondando per le strade appenniniche, e nessuno ha detto mai niente).
La storia di Peppina
Peppina, 95 anni fra un paio di mesi, o Peppa, o Giuseppa, non è una vittima. È un prodotto locale come il ciauscolo e il pecorino. Le peppine nate qui fra gli anni ’20 e gli anni ’40 hanno oggi dai 70 anni in su, gli acciacchi dell’età e gli occhi vispi e non di rado vivono sole. Una routine fatta di orto, gatti (spesso al plurale), qualche animale da utilità (galline, di solito), un po’ di tv. E fatta di aria, di cielo e di verde, di aria pungente al mattino, di libertà e di spazio; e anche di tempo, che qui ha una durata diversa. Signori dell’aria, e del tempo, la gente di pietra non guarda alla casa in sé. La casa è la terra, “quella” terra, e lì vogliono stare, o tornarci.
La storia di Checco
Checco, novantenne carbonaio (nel senso che produce lui il carbone), casa inagibile e due metri di neve, portato da Meriggio a Fiastra (Tribbio: 2 chilometri), smaniava per tornare a casa sua, e ha preferito un container all’ospitalità in una camera “vera”. Chi ha la montagna dentro ce l’ha negli occhi e non ce la fa proprio ad andare lontano. O, se viene portato via (come quasi tutti, fra Acquacanina e Fiastra), sta male. Come una crisi di astinenza.
Peppina, il gatto e le galline
Peppina non ne poteva più di Castelfidardo, dove era comodamente ospite di una figlia, ed è scappata di casa. Si è fatta venire a prendere da una parente, e si è piazzata nel vecchio container rimasto lì dopo il terremoto del ’97. È tornata da gatto, orto e galline, nonostante tutto: la scomodità, l’isolamento, i cinquanta gradi dentro lo scatolone di metallo, in questa estate caldissima.
La terra delle comunanze
I checchi e le peppine che qui abitavano soli non erano mai soli davvero. Tra queste montagne impervie ma ovunque percorse da strade e sentieri, i custodi dello spazio e del tempo intrecciavano reti, e tutti sapevano di tutti anche prima dei telefonini. La nascita, il matrimonio, la morte, e anche l’invidia sono cose che si condividono a distanza. Si è comunque parte di una comunità. E sai benissimo quali sono i beni della tua comunità, e ne godi con gli altri.
Questa è la terra delle comunanze, una organizzazione antichissima del territorio che prevedeva, appunto, l’usufrutto comunitario di terre, acque e pascoli. Una sorta di terra di nessuno rispetto alle proprietà dei signori locali, o della Chiesa. Questa terra è davvero di chi ci è nato, oppure l’ha scelta per viverci. E se la terra e l’acqua sono mie, è mia cura tutelare il pascolo, il bosco, e limitare il selvatico.
In equilibrio con la natura
I radi abitanti di queste terre, in passato, hanno saputo porsi in equilibrio con un ambiente ostico (ma di certo non estremo), che in quanto rispettato ha restituito una vita dura ma capace di garantire l’essenziale. L’azione dell’uomo, prima dello spopolamento di metà novecento, garantiva la percorribilità dei sentieri, limitava le presenze di lupi e cinghiali. La presenza dell’uomo, anche se rada, dispersa in mille microfrazioni (la casa della signora Peppina è in una frazione di una frazione di Fiastra), era comunque comunità, e ha reso questi luoghi un unicum: già in crisi prima del sisma, è adesso condannato alla sparizione, se si continua a ragionare di montagna solo in termini di resa economica.
Il destino dei vecchi di pietra
Adesso, qui, è tutto diverso, anche se Fiastra è uno dei pochi comuni con case provvisorie quasi pronte e con un indotto legato al turismo lacustre di tutto rispetto. Sono pochi i vecchi di pietra rimasti quassù per tutto l’inverno. Nonostante le decine di migliaia di visitatori, i sentieri sono poco battuti. I cinghiali e i lupi scorrazzano liberi, arrivando indisturbati sulla soglia delle case (è capitato a Visso, e non una volta sola). Non tutte le peppine (e i checchi) hanno la fortuna di avere intorno una famiglia piena di risorse e di affetto, come la nostra Peppina. Nello stesso giorno in cui tanti di noi erano a San Martino di Fiastra, a San Lorenzo (dove c’è il lago, per capirci) veniva trovato morto un anziano di 83 anni, sfollato. Nessuno dovrebbe morire solo. È una delle tante tragedie post sisma di cui nessuno sembra interessarsi.
E invece il destino dei vecchi di pietra ci riguarda, tutti, perché non è in ballo solo una casa di legno, ma la vita stessa di questo territorio bellissimo e fragile.
Lidia Massari
Nelle foto, il gatto Oreste, il gattone cicciotto -e incredibilmente rosa- di Peppina, e le sue galline
25 settembre 2017