Primi mesi del 1936. Ricordiamo una impresa che fu, poi, diligentemente e anche più scientificamente instaurata altrove. In illo tempore, anzi, per essere più precisi il 19 di aprile era stato nominato Presidente dell’Ente Provinciale per il turismo il commendator Cesare Benignetti, da vario tempo Podestà di Macerata e fervido amante della “sua città”. Il Benignetti, in verità, non era maceratese essendo nato a Montefalco, il “balcone dell’Umbria”. Or dunque bisognava dare un qualche impulso all’addormentato turismo locale e costui ebbe immediatamente la classica accensione di lampadina. Aveva visto, evidentemente sia ad Arezzo che a Foligno, due classiche quintane o giostre del saracino. Perché no a Macerata? Subito interessò il Presidente della Provincia, ingegner De Carolis, il Prefetto dottor Neos Dinale, il Segretario Federale maestro Severino Ricottini. Li trovò entusiasti anche se scarsamente preparati. Bisognava far presto perché la “Giostra” doveva essere allestita per le feste di San Giuliano, il 31 agosto. Rapidamente si contattarono le tradizionali sartorie teatrali, si arruolarono infiniti figuranti, si presero accordi con qualche allevamento equino, si consultarono aretini e folignati, espertissimi in materia. Si fece qualche prova. Poi, finalmente, ecco il gran giorno. Cavalli, fantini, staffieri, portabandiera si presentarono alle porte delle chiese di San Giuliano, San Giorgio, Santa Maria della Porta e San Giovanni, designanti i quartieri stabiliti dagli antichi Statuti Comunali, ubicati però con qualche libertà, dato lo sviluppo urbanistico maceratese. I relativi parroci benedissero i focosi destrieri che, nello Sferisterio, dovevano assalire il “Saracino” in difesa dei colori del quartiere. E nello Sferisterio avvenne la disfida dopo che un banditore aveva gridato al popolo un cartello di sfida stilato dal buon dottor Amedeo Ricci, direttore della Biblioteca Comunale. Vinse il quartiere di Santa Maria della Porta tra l’entusiasmo dei parrocchiani. Poi, lungo le strade cittadine sfilò il “Corteggio del Signore della Caccia” con relativi suoni di chiarine, scalpitar di cavalli, lampeggiar di corazze e rullo di tamburi. Alla gente lo spettacolo piacque anche se, tra i maggiori gentiluomini riconoscevansi le facce di non pochi falegnami, calzolai, carrettieri, qualcuno dei quali era un fervente amico di Bacco. Agli organizzatori, forse, la cosa dette qualche imbarazzo. Ma ormai il guanto della sfida era lanciato nei confronti degli altri centri marchigiani. Fu raccolto, solamente nel dopoguerra, dalla vicina Ascoli. Comunque rivendichiamo la paternità di una manifestazione che, per la fortuna dei nostri conterranei, ha riscosso il meritato successo.
Libero Paci da La rucola n° 5
14 settembre 2017