Alcune delle persone che ogni giorno passano per la piazza e si fermano a osservare l’orologio del ‘500 riposizionato sulla torre civica si chiedono: “Ma che ora segna?” La risposta è un po’ complessa e dobbiamo tornare al ‘200, quando gli orologi meccanici avevano una sola lancetta, che segnava l’ora perché quella dei minuti non era ancora stata inventata. Il quadrante era diviso in ventiquattro spazi. La giornata, per la maggior parte del popolo, nobili esclusi, era scandita dal sorgere e dal calare del sole, quando tutti smettevano di lavorare e, fatta la frugale cena, andavano a dormire. Allora in Italia si iniziò a far partire il conto delle ore non dalla mezzanotte ma dal calar del sole. Questo metodo era detto “Ora italiana comune od ora solare” e quando fu adottato dai paesi nordici, fu chiamato anche “Ora boema”. La sfera posta sul numero (romano) XXIII, sulla destra del quadrante, dava, all’incirca, la posizione del sole. La giornata partiva dal tramonto e il suo inizio variava con le stagioni ma ciò dava ai lavoratori il modo di sapere quante ore avevano di luce ancora a disposizione. Così l’alba, il mezzogiorno e la mezzanotte erano fluttuanti e solo il tramonto era fisso, indicato con le XXIIII (24). Una curiosità. La posizione della sfera sulle XIII (23) ha dato anche, avendo la stessa posizione del copricapo messo di traverso sulla testa, origine al detto: “Porta il cappello sulle ventitré”. Allora… “Che ora segna?”, semplicissimo, segna l’ora italiana (o solare) o anche, se volete, l’ora Boema!
Cesare Angeletti