Torre di Palme, le tombe picene recentemente scoperte

Tutto ciò che è di proprietà pubblica a livello culturale deve essere reso fruibile alla popolazione. Non si può apprezzare ciò che non si conosce, troppo spesso succede che i primi a mostrare indifferenza sono coloro che dovrebbero essere orgogliosi custodi delle ricchezze nascoste sotto i propri piedi. Vi raccontiamo un esempio di condivisione e insieme di formazione, una testimonianza dell’entusiasmo che può scaturire dallo scoprire le proprie radici, recuperare la propria identità e guardare ciò che ci circonda con occhi nuovi, con stima e rispetto di ciò che chi ci ha preceduto ci ha lasciato, si tratti di alberi, di arti e mestieri o di tombe. 

All’inizio di quest’anno, durante gli scavi di un metanodotto Edison, è venuta alla luce una necropoli picena risalente presumibilmente al VI secolo a.C. e grazie alla collaborazione tra il proprietario del terreno, l’azienda Edison, la soprintendenza, la soc. coop. Archeolab, una squadra di archeologi, è stato possibile effettuare un lavoro certosino di recupero e messa in sicurezza del materiale, che ora si trova ad Ancona per il restauro e per appronfonditi studi. Le tombe sono state già reinterrate lasciando all’interno traccia e riferimenti dello scavo effettuato, ricoperte con geotessile e l’area è stata restituita al proprietario per i lavori agricoli.

Sabato 28 luglio 2017, presso la piazzetta “Largo Milone” di Torre di Palme (Fm), la dottoressa Letizia Baffoni ha introdotto e moderato una bellissima e partecipata conferenza di presentazione dei risultati degli scavi, dando la parola ai professionisti coinvolti.

Il dottor Fabio Lunerti, geomorfologo, ha fatto una panoramica su come nel VI secolo a.C. dovevano essere il clima e l’aspetto del territorio di Torre di Palme, che dalle indagini geologiche, confrontate con le fonti storiche, doveva presentare una costa diversa rispetto a come la vediamo oggi. Un punto di partenza per capire come il territorio fosse abitato, coltivato e quale criterio avrebbero usato i Piceni per creare questa necropoli. Il dottor Giorgio Postrioti, funzionario di zona per la Soprintendenza archeologica Belle Arti e Paesaggio delle Marche, ha descritto la struttura della necropoli e le tombe in dettaglio, presumendo, vista la posizione di alcune su un costone e in particolare una che risulta tagliata a metà nella lunghezza, che all’origine le sepolture fossero molto più numerose, ma in gran parte andate perdute per modifiche del terreno, difficile stabilire al momento se dovute a frane naturali o all’intervento dell’uomo. Le tombe si possono suddividere in due gruppi distinti, il primo è costituito da due sepolture di donne, scavate in alto sul costone a dicembre 2016, che nel corredo presentavano entrambe un anellone piceno posto sul bacino, la prima a 4 nodi, la seconda a 6 nodi (ma danneggiato). Il secondo gruppo di 19 tombe, suddivise in due gruppi – probabilmente familiari – situate più in basso, a una profondità di circa due metri dal livello di campagna. Non è il primo ritrovamento in zona, già dalla fine del 1800 e in varie occasioni nei decenni successivi ci furono sia rinvenimenti occasionali (per esempio oggetti affiorati durante lavori agricoli) sia scavi resi noti, ma in mancanza dell’applicazione di un metodo di catalogazione, anche quei reperti che sono stati recuperati o rintracciati non consentono purtroppo di ricostruire la situazione archeologica, il luogo preciso, la composizione della tomba. La dottoressa Laura Foglini, coordinatrice dei lavori per conto della Soprintendenza, ha mostrato invece con immagini e video come in questo caso si siano usati tutti i criteri per un corretto scavo archeologico e relativa documentazione, dal rinvenimento, alla documentazione fotografica per tutto l’avanzamento lavori, alla realizzazione di disegni archeologici, il recupero e primo intervento degli scheletri e dei corredi, le schedature. Un lavoro notevole e spesso faticoso, eseguito in ogni condizione atmosferica pur di recuperare tutto nel più breve tempo possibile. Nelle sepolture delle donne erano presenti grandi quantità di vasellame di varie fogge e dimensioni, fibule con anelli in bronzo, perline in pasta vitrea, ambra; in particolare nella tomba “9” il corredo era particolarmente ricco: un numero maggiore di vasi, un fascio di spiedi, rocchetti, fuseruole, ancora ambra, fibule giganti, uno splendido anellone piceno a 4 nodi, e vicino alla testa dei dischetti di bronzo, accessori per una particolare acconciatura che sono stati trovati solo in zona Palmense e in area Croata. Si tratta sicuramente di un personaggio di alto rango, il cui corredo è verosimilmente abbigliamento da parata. È stato rinvenuto, sempre in tomba femminile, uno “skeptron” uno scettro, come quelli trovati nelle famose necropoli di Pitino e Matelica, distintivo forse di responsabile di giustizia, in ogni caso bastone di comando. Le tombe maschili presentavano un corredo più modesto, con armi da guerriero: nella sepoltura numero “16” è di eccezionale valore la presenza di un raro elmo di tipo “Montegiorgio”. Una curiosità: in nessuna sepoltura era presente il “torque”, caratteristico collare generalmente presente nelle tombe picene. Il dottor Massimo Mattetti nel suo intervento “Palma dal Cugnolo alla Turris”, ha cercato di far vedere ai presenti la zona del Palmense con gli occhi degli antichi abitanti, ricostruendo l’affascinante storia del borgo dal primo insediamento fino alla creazione dell’attuale Torre di Palme, con le sue leggende e tradizioni, come quella del vino.

Particolarmente appassionato l’intervento dell’antropologo professor Giacomo Recchioni, che alla realtà picena di Torre di Palme ha dedicato molti dei suoi studi, convinto che i Piceni siano stati un popolo molto forte e importante, non semplicemente gruppi di pastori che vagavano per le terre marchigiane scontrandosi ogni tanto con altre genti di passaggio: questi luoghi sono stati abitati continuativamente da clan organizzati, evoluti, colti, che costruivano edifici, forgiavano armi, coltivavano terre, andavano per mare, commerciavano, e soprattutto difendevano il proprio territorio.

“Noi abbiamo un grande fantasma che ci perseguita da molti decenni: sull’Adriatico, nel centro dell’area adriatica. Questo fantasma sono i Piceni.” Così si esprimeva nel 1975, l’archeologo Massimo Pallottino. Nel 2000 un altro studioso, Alessandro Naso, raccolse in un volume i risultati di successive ricerche. Molti altri hanno cercato di fare luce sui Piceni, ma solo ora questo popolo, che reclama dignità e -forse- giustizia, sta cominciando a risorgere, a far vedere chi era veramente.

Nel salutare relatori e presenti, il vicesindaco di Fermo, l’assessore alla cultura Francesco Trasatti, ha manifestato il desiderio e la volontà di riavere i reperti a Torre di Palme, dove già si sta pensando al luogo adatto per l’allestimento di un piccolo museo, perché l’attrazione archeologica andrebbe a  completare le già apprezzate bellezze del luogo, architettoniche, artistiche e naturalistiche, come dimostra il suo recente ingresso nel Club dei Borghi più belli d’Italia.

Simonetta Borgiani

 

1 agosto 2017

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