“…Adè più d’un sorrisu” sono più di 280 pagine, tutte da gustare per chi ama il dialetto e le tradizioni della media zona collinare del territorio maceratese. Questo libro è anche l’omaggio reso dai figli a un padre chiaro, onesto e arguto; infatti la sua stesura è stata curata da Mario Graziosi (i nostri lettori hanno già avuto modo di leggere alcuni suoi racconti), figlio, con Nazzareno, di Albino Graziosi detto Pippo de Rongó. Una caratteristica di questo volume è che come accade al supermercato paghi uno e prendi tre. Il motivo è semplice e naturalmente va ricercato nei contenuti dello stesso: una prima corposa parte è dedicata alle poesie che “Pippo de Rongó” ha scritto negli anni; una seconda parte sono “Centoquaranta gocce di saggezza popolare” tutte da leggere con il sorriso sulle labbra; infine, come terza parte, c’è un glossario in cui a ogni parola corrisponde una più che esauriente spiegazione, quasi dei racconti brevi. Gli scritti di “Pippo” sono quasi tutti inediti (fanno eccezione le poesie “Quanno Fiastra adèra perdaéro un fiume!” e anche “La storia de Cammurà” che, comunque, sono due versioni leggermente diverse da quelle già edite, ritrovate tra le carte del poeta) e vanno da spassosi dialoghi al racconto di feste e sagre dei dintorni, dal resoconto delle gite parrocchiali e dei pellegrinaggi, sempre osservati con una certa “birberia”, al tratteggio delle persone. In queste poesie c’è tutta la maceratesità contadina dei tempi ormai passati. Le situazioni di disagio vissute sempre con estrema dignità che non è solo orgoglio ma anche paziente accettazione del presente. Ci sono i soprannomi, oggi quasi scomparsi, che fino a qualche decennio fa erano propri e distintivi della famiglia di origine, ma anche coniati al momento, come per Pippo, chiamato Segni, per evidenziare la sua tendenza politica (Segni, Presidente della Repubblica, democristiano) mentre un suo vicinato era “Togliatti” di chiara derivazione comunista. Tra i due poteva esserci un po’ di maretta politica a parole ma poi al bar, al tavolo da gioco, diventavano “compagni” e si divertivano. Quante tradizioni scomparse si ritrovano tra i versi di Pippo… oggi, tra i giovani, chi sa cosa è un “cazolà” o il “principe”? Oggi ci sono altre bevande, allora si faceva un mix tra mistrà e Caffè Sport per avere lu cazolà e si giocava al “principe” dove chi vinceva aveva il comando sulle consumazioni in palio e le poteva destinare a suo piacere: c’era sempre qualcuno che finiva “impiccato”, a becco asciutto, e chi invece poteva finire sbornio. Le 152 gocce di saggezza popolare sono frasi di estrema sintesi che contengono grandi verità e profondità di pensiero. Un esempio: a lu purittu je manga tande cóse, all’egoista tutte. Il glossario, che in genere si fa partire dal termine dialettale per darne una spiegazione comprensibile, in questo libro si presenta in maniera opposta: si parte dal termine italiano e ci si imbastisce un racconto con i termini dialettali in evidenza per far capire la loro funzione. Tutto il volume è curato nei minimi particolari, grazie a un lavoro certosino che nulla ha lasciato al caso. “Pippo” è soddisfatto e il suo volto sorridente è lì a testimoniarlo dalla copertina.
Fernando Pallocchini
24 luglio 2017