Chiunque abbia buoni ricordi della scuola media ha bene in mente che la storia dell’Italia antica peninsulare si divide in un “prima” e in un “dopo” la nascita della Romanità. Quelli che studiarono un poco di più ricordano anche che il “prima” era caratterizzato dalla presenza di una moltitudine di popoli italici, sempre definiti come pastori/guerrieri, i cui primi barlumi di civiltà coincisero con il contatto coi colonizzatori greci. Degli Italici vi sono molte vestigia nei numerosi musei minori della Penisola: posti spesso in luoghi fuori mano, raramente aperti e invariabilmente avari d’informazioni. Capita così che il turista volenteroso bighelloni indeciso in ampie sale colme di reperti italici dalle etichette enigmatiche: i nomi degli oggetti sono spesso indicati dal corrispettivo greco (es. l’etichetta “tre kantharoi e un oinochoe” piuttosto che il meno “tecnico” ma più evocativo “tre boccali e una brocca da vino”), le datazioni sovente latitano, non di rado latitano le etichette medesime. Più soddisfacente la visita alla immancabile saletta di reperti greci o di imitazione: piccola, ricca di begli oggetti (quasi esclusivamente ceramiche) e con etichette doviziose di informazioni. Infatti, non c’è o quasi tomba italica che nel suo corredo non abbia qualche oggetto esotico che, ci spiegano, innalza lo status del defunto. Come per l’uovo e la gallina: è l’archeologia che conferma la storiografia… o si conforma a essa e ne viene confermata?
I preconcetti culturali e la loro storia – Facciamo un po’ di storia della storiografia: nel Secolo dei Lumi, quando l’archeologia come la intendiamo noi non esisteva ancora (Schliemann era ben lungi dal nascere), Joachim Winckelmann pubblicava il suo imprescindibile “Storia dell’arte dell’antichità” (Dresda,1764). In esso venne fissato per sempre il fondamento della riflessione sull’Antichità: la Grecia aveva civilizzato, sola e prima, l’Europa (mediterranea) e ogni successiva civiltà europea sarebbe stata necessariamente sua tributaria. Lungi dal rimanere una voce isolata, le tesi del Germanico pre sero rapidamente piede, trasformandosi velocemente in dogmi accettati da tutti gli studiosi e ritrasmessi quasi come carattere ereditario ai loro discepoli. In campo letterario-artistico l’Arcadia secentesca aveva già indicato la via ma, ben presto, ogni campo della Cultura considerò l’Antichità “quasi un perduto Eden nel quale tutti anelavano a tornare”(1) era la nascita ufficiale del Neoclassicismo.
Economia “motore” della cultura – La prima volta che visitai il museo archeologico di Atene la cosa che più mi stupì fu di vedere a lato dell’etichetta “ceramica arcaica” delle figure umane con tratti che mi ricordarono, per la forte rassomiglianza, i volti delle statuette etrusche e di quelli del “sarcofago degli sposi”. Le terrecotte di Atene continuano a ripropormi il dilemma dell’uovo e della gallina: gli Etruschi sono Pelasgi emigrati, aborigeni a sviluppo parallelo o cos’altro? È proprio così vera, assoluta e fondamentale la dipendenza culturale dalla Grecia che autorevolissimi storici e archeologi nostrani sostengono con forza? Guardando all’Atene classica, anche con uno sguardo sommario possiamo vedere che alla Città-Stato per eccellenza convergono i traffici di ogni parte del Mediterraneo e non solo, con navigli che toccano tutti i porti conosciuti. Volendo fare un parallelo col presente Atene era nella sua età d’oro come è oggi Singapore. E nello stesso modo la città “unica” si differenzia dal territorio e dalle popolazioni greche che la circondano, pur estendendo il suo benessere ai territori e ai porti viciniori. Atene, ritengo, non fu solo Grecia così come Singapore non è solo Malesia. In termini economici, tecnologici e finalmente “culturali”, l’Atene delle origini dispone degli apporti di tutte le civiltà a lei coeve. L’oligarchia che detiene il potere economico e politico ha soldi e conoscenze per promuovere, non diversamente dalle principali città del rinascimento italiano o della lega anseatica, lo sviluppo delle arti e delle lettere quale espressione di potere in tutti i campi. Atene è costantemente ri volta al futuro, non conserva un passato non propriamente suo, ad Atene Diego Della Valle anziché restaurare il Colosseo (pardon il tempio di Crono) avrebbe fatto erigere da Renzo Piano una statua di Pallade Atena alta duecento metri. Proviamo a immaginare una realtà diversa dalla visone puramente virtuale che la storiografia ci ha consegnato: al Pireo si incrociano tutte le lingue mediterranee, le “bolle di carico” delle merci si scrivono in più grafie, cercando però di renderle intellegibili anche ai destinatari di porti lontani. Fenici, Punici, Etruschi, Piceni, Venetici e le altre genti marinare più evolute, prendono e lasciano contributi alla formazione di una cultura imprenditoriale marittima e di un “esperanto” che magari non è esattamente il “lineare B”, ma promuoverà il greco antico che conosciamo. I contributi culturali scambiati con le popolazioni centro-italiche più evolute, non possono che essere paritetici come gli scambi di merci di valore; altra cosa è la colonizzazione di terre incolte abitate da piccole comunità di pastori nella Magna Grecia e dintorni. Le scritture italiche “preistoriche”, prima fra queste la nostrana Piceno Italica, non sono manifestazioni di una cultura di terza serie, e derivano dal greco tanto quanto poco il greco deriva dall’egizio attraverso il fenicio e l’ebraico, visto che “aleph” e “bet” provengono dai geroglifici.
Preconcetti barocchi nascondono la nostra genuina cultura arcaica – Riguardo alle arti figurative, abbandonando per un attimo il preconcetto che solo se è greco è bello, ovvero se è bello deve essere per forza greco, un esempio può essere il coperchio di una grossa ceramica al museo Moretti di San Severino la cui presa, modellata con uno stile essenziale, rappresenta con dinamismo un cavaliere con i piedi sulle groppe di due cavalli al galoppo (realizzato probabilmente nella prima età del ferro). È talmente stilizzata da essere comparabile sia con l’essenzialità della “Venere di Monruz” di undicimila anni fa, sia con le opere di bronzisti contemporanei fra cui Picasso, quindi mi riesce difficile vederci una forma di dipendenza culturale dalla Grecia. Accetto il periodo “orientalizzante” perché le mode esotiche si formano in momenti di particolare floridezza come a esempio la moda delle “cineserie” del barocco tardo secentesco in Europa. Peraltro l’“orientalizzante” tocca sia l’Etruria sia il Piceno, quindi non esistono livelli di arretratezza della nostra regione rispetto all’Etruria, semmai differenti visioni delle arti plastiche fra culture di livello equipollente da un punto di vista complessivo. Nulla intendo togliere alla grandezza del pensiero e dell’arte Ellenica, che però si sono nutriti di tutti i contributi dei popoli circostanti, ritengo che il Mediterraneo sia stato un crogiolo eccezionale di esperienze e di scambi da cui ognuna delle grandi culture delle sue sponde ha tratto l’assimilabile e lo ha rielaborato in proprio. Misuro la dipendenza culturale dalle abitudini profonde della vita sociale, non dalle esteriorità formali (vestire i jeans e tingersi rossi i capelli non trasforma la mentalità di una cinese in quella di una statunitense). Se il modello culturale greco fosse davvero entrato profondamente nella cultura delle società italiche, compresa quella etrusca che più di altre si vuole una copia della grecità, non vedo perché non si sia adottata direttamente la lingua greca e, importantissimo indicatore sociale, anche la posizione della donna all’interno di questa società dovrebbe essere oggetto della stessa segregazione di quella greca, mentre tutti gli etruscologi concordano nella sostanziale parità dei sessi nella Tuscia.
Datazioni diverse dalle analisi scientifiche – La necessità di rivedere il paradigma di Winckelmann traspare dalle pagine di G. Bartoloni (2) a proposito delle differenze di datazione fra le serie cronologiche della ceramica greca inserita in sequenze basate su date notevoli riportate da autori antichi (es. Tucidite) le recentissime stime di laboratorio anticiperebbero di più di un secolo i reperti nostrani, mandando in crisi i cardini cronologici delle facies greche che costituiscono la base di ogni opinione sviluppata per le culture italiche. L’autrice sembra rifiutare lo stravolgimento dei suoi convincimenti e a favore della datazione basata su Tucidite conclude ironicamente che a prestar fede ai dati di laboratorio “…la ceramica d’imitazione sarebbe datata prima dei prototipi greci.”. La discrepanza delle date, a me, ex ricercatore scientifico nella fisica, suggerisce la necessità di verificare quale sia veramente il prototipo anziché passare oltre (il più antico dovrebbe essere in una certa misura più naîf). Ammetto che per gli addetti ai lavori laureati nelle facoltà di Lettere e Filosofia, possa essere difficile (dopo essersi fatti un… sudore tanto a tradurre Sofocle al Liceo), allentare un convincimento mantenuto negli anni, per pensare che, forse, “l’eredità classica della Grecia” è una componente non sostanziale della nostra cultura Italica.
(1) R. ASSUNTO, L’antichità come futuro. Studio sull’estetica del Neoclassicismo, Milano 1973, p. 34.
(2) G.Bartoloni-Introduzione all’Etruscologia Hoepli edizioni 2016 – capitolo “La formazione urbana” – pagg. 119
Bibl. gen non citata.: M.Pallottino ETRUSCOLOGIA. Hoepli 2016….A.Naso -I PICENI- Longanesi & C. 2000. …T.Wolfe -IL REGNO DELLA PAROLA- Giunti 2016 … A.Marcolongo- LA LINGUA GENIALE 9 ragioni per amare il greco- Laterza 2016.
Raffinata fibula realizzata in argento e ambra rinvenuta a Pitino e conservata nel Museo Archeologico – Ancona
Ansa in bronzo picena proveniente da Belmonte Piceno e conservata nel Museo Archeologico nazionale delle Marche ad Ancona
Medardo Arduino
21 giugno 2017