La storia vera di Banca delle Marche – XXI puntata

In questa puntata c’è l’incorporazione della Cassa di Risparmio di Jesi e il trasferimento nella nuova sede jesina di Fontedamo, con i problemi creati dai trasferimenti giornalieri dei dipendenti con relativo incidente stradale.

 

L’incorporazione della Cassa di Jesi

Il periodo anconetano dura circa quindici mesi ed è ricco di attività e di iniziative, tra cui principalmente la fusione per incorporazione della Cassa di risparmio di Jesi, che avviene il 31 dicembre 1995: il progetto della sede anconetana viene abbandonato e invece si sfrutterà la nuova sede di Jesi a Fontedamo, realizzata anche con i proventi della partecipazione azionaria della CARIPLO, che possiede una consistente quota del capitale di CARISJ. La sede è ampia, anche se con molti spazi non sfruttati e non sfruttabili, ma diversi uffici non vi trovano luogo e sono situati in altre strutture jesine: rimangono a Macerata il centro elettronico e gli uffici a esso connessi e a Pesaro la contabilità generale, con una ricerca esasperata della parità numerica degli addetti nell’una e nell’altra sede. La banca  sta comunque vivendo  un periodo di buona espansione e di crescente apprezzamento anche nella clientela, ma questo periodo iniziale porta, a mio personalissimo giudizio, a commettere due errori le cui conseguenze dureranno a lungo:

1 – la scelta del direttore generale, che sarebbe dovuta cadere su un personaggio assolutamente estraneo alle due strutture (poi tre) preesistenti, senza che ciò avesse significato un giudizio negativo sulle persone in carica; ma “banca nuova = direttore nuovo” avrebbe significato affrontare la strutturazione della nuova azienda senza preconcetti e senza condizionamenti; questa scelta sarà fatta sei anni dopo, quando ormai sarà forse troppo tardi;

2 – il mantenimento delle direzioni compartimentali a sostegno e coordinamento delle reti di filiali preesistenti, a Macerata, a Pesaro e a Jesi; da un lato ciò ha un aspetto positivo, non facendo apparire alla clientela o comunque all’esterno la maggior parte dei cambiamenti, ma dall’altro, essendo le reti composte di filiali aventi identica provenienza, ha contribuito a perpetuare le differenze operative o le diverse culture aziendali, come amava ripetere il presidente.

Altra cosa infatti sarebbe stata se le reti fossero state composte di filiali di diversa origine, perché in tal caso le direzioni compartimentali avrebbero avuto esattamente l’effetto contrario, cioè quello di stimolare e guidare la omogeneizzazione dei comportamenti e delle procedure in un’unica fusa e condivisa cultura aziendale. Esiste anche una quarta direzione, quella delle filiali extra regione, il cui responsabile (quel famoso dirigente, già citato, avvezzo al budget nella filiale di New York!) ha il vezzo di segnare le filiali visitate con bandierine colorate diversamente, piantandole su una grande carta geografica dell’Italia centrale.

 

L’incidente dei “pendolari”

Con il trasferimento a Jesi il capo della segreteria cambia ancora: Giancarlo Rosati, già segretario generale della Cassa jesina e dirigente, è da me ben conosciuto per i rapporti cordiali e fattivi avuti in passato soprattutto nel settore assicurativo e per alcune pratiche incagliate, gestite dal settore legale da lui dipendente; gli farò volentieri da vice, mentre il capo servizio pesarese, che non accetta un ruolo in subordine, torna a casa. Il mio ufficio è all’ultimo piano, nel settore della direzione generale, diviso da quello di Giovanni Filosa dalla postazione di Paola Badiali. Tra me e Giovanni, coetaneo, si instaura subito un legame di simpatia: la musica è una passione comune e lui oltretutto ha un gruppo, gli Onafifetti, con i quali propone spettacoli di cabaret e satira su personaggi e vicende locali. In una “gara” reciproca, a ogni parola dell’uno l’altro aggancia una canzone contenente quella parola e così via. A Paola, Giovanni chiede cosa dicano i suoi amici quando racconta loro quel che succede in ufficio, ma la risposta lapidaria è: “Non glielo racconto perché non ci crederebbero mai!” La segreteria, come sempre, è la prima struttura a essere trasferita, con alcuni singoli colleghi che debbono preparare il trasferimento vero e proprio della Direzione generale. Tra questi c’è Paolo Chiappini della finanza, che una mattina, andando in auto a Jesi con due colleghe, troviamo di traverso sulla strada, piuttosto confuso, mentre nell’altro lato c’è una vecchia Ferrari priva di quasi tutta la parte anteriore. Paolo voleva sorpassare, quasi in curva e in prossimità di un dosso/cunetta, che gli ha impedito la visione della bassa Ferrari in arrivo. L’impatto frontale è stato notevole e solo la solidità e la tipologia delle auto ha permesso che non ci fossero danni alle persone, mentre i danni materiali ammontano a quasi cento milioni di lire! Paolo scoprirà di avere anche la patente scaduta, ma la completezza della formula assicurativa dell’Associazione CARIMA lo copre senza problemi, rassicurandolo e facendogli promettere che andrà due volte a Loreto a piedi. Da allora, quel punto della strada, poco dopo la Cimarella, sarà a tutti i colleghi noto come il “dosso Chippini” e così sarà giornalmente citato quando l’autobus transita in quel punto. Man mano che il trasferimento andrà avanti e anche dopo, numerosi colleghi sono costretti a usare la propria auto e sono pochi quelli che non hanno incidenti, più o meno gravi, su quella strada maledetta, sinuosa e a saliscendi, complicata per di più dai liquami delle barbabietole da zucchero, lasciati dagli autocarri che le trasportano allo zuccherificio di Jesi. Dopo alcuni mesi inizierà, in mancanza di mezzi pubblici, un servizio aziendale di trasporto in autobus da Macerata e da Pesaro (e inizialmente anche da Ancona), che continua tuttora.

(continua)

12 giugno 2017

 

 

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