Notizie vere, curiose e divertenti tratte da “Dicerie popolari marchigiane”

Scuola in piazza

Un popolare spiazzì’ (merciaio ambulante) amava definirsi, scherzando, latru onestu (ladro onesto). Diceva: “Io me faccio pagà’ quello che mme sta vène, ma peso justo e ddaco robba vòna. So’ u’ llatru onestu, io! E mme ne vando!” (Io mi faccio pagare quello che mi sta bene, ma peso giusto e do roba buona. Sono un ladro onesto, io! E me ne vanto!). Ebbene, un certo giorno lo sentìi rimproverare il figlio perché, nel notificare il prezzo della merce, non aveva avuto la sfrontatezza di richiedere subito, al cliente, il doppio del prezzo al quale alla fin fine avrebbe potuto cedere quella stessa merce. Il ragazzotto non si lasciava convincere, poiché giudicava il lungo tira e molla, l’eccessivo mercanteggiamento che ne sarebbe conseguito, una stupida perdita di tempo. Il genitore, allora, per convincerlo, gli fece osservare: “Tu bbada a lu cacciató’: quanno spara a li célli, se li vòle coje, j’ha da tirà’ un bbéllu pó’ avandi, sinnò, cór cavulu che li còje! E ccuscì duvimo fa’ nnoatri, maccaró! Devi fa’ ppagà’ diéce? ‘Ngomènza a cchède vvéndi, spara avandi!” (Tu guarda al cacciatore: quando spara agli uccelli, se li vuole cogliere, gli deve tirare un bel po’ avanti, altrimenti col cavolo che li coglie! E così dobbiamo fare noi, maccherone! Devi far pagare dieci? Comincia a chiedere venti, spara avanti!).

L’ago e lo spillo

Gìgio de lu Ferrà (Luigi Gualtieri, 1886-1948) aveva per garzone un ragazzo pieno di buona volontà ma alquanto maldestro ancora nell’arte del fabbro, benché fosse ormai da due anni in apprendistato. Nella sua smania d’impadronirsi del mestiere e di farsi apprezzare dal padrone, il ragazzone prendeva a volte iniziative ardite, nel senso che si dava alla esecuzione di lavori che avrebbero richiesto ben altra perizia, e naturalmente combinava guai. Ma Gìgio, in questi casi, dopo aver rognecàto ‘m-moccongéllu (borbottato un pochettino) lasciava correre, perché sotto sotto era contento dell’intraprendenza e dell’entusiasmo del suo garzonàcciu. Un giorno, però, il ragazzone gliene combinò una grossa e Gìgio lo richiamò llucchènno (urlando) come mai aveva fatto prima di allora. Tuttavia, passato il primo impeto di collera, prese il suo garzone da parte e gli fece questo discorsetto: “Adè la sòleta storiella de lu spillu. Lu spillu, che era ‘bbituatu sulo a ‘ppondà’, u’ gnórnu védde un acu che ccuscìa. Sùbboto lu spillu vvòrze méttese a ccuscì anghi issu, e ssulo allóra se ‘ccurghjì d’aécce la capòccia tróppo gròssa!” (È la solita storiella dello spillo. Lo spillo, che era abituato solo ad appuntare, un giorno vide un ago che cuciva. Subito lo spillo si volle mettere a cucire anche lui, e solo allora si accorse di avere la capoccia troppo grossa!). E detto ciò Gìgio dette u’ scoppoló’ (uno scapaccione) bonario al suo mortificatissimo garzone sulla… capòccia!

29 aprile 2017

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