Correva (mi pare) l’anno 1950. Peppe de Fruscì “sacrestano maggiore” (e i minori?) del Duomo doveva, come da tradizione, provvedere alla “ostensione annuale delle sacre reliquie” da celebrarsi il primo giorno di novembre. Si trattava di ben 35.000 “pezzi” (più o meno autentici) raccolti in oltre 80 anni dal canonico Amico Amici tra la fine del ‘700 e i primi decenni dell’800. Ultimi giorni di ottobre. Bisognava, allora, spalancare le false lesene, le finte basi, togliere gli sportelloni che chiudevano gli armadi praticati nei portaletti laterali della “Cappella de li Sandi” dedicata all’apostolo Andrea e al martire Sebastiano. dare una buona spolverata alle “lipsane” contenute in quadretti, urnette, ovaletti ecc. Peppe chiedeva aiuto a tutti, specie ai ragazzi che, però, temevano di dover rimuovere il paliotto dell’altare dietro al quale occhieggiava lo scheletro di un poco noto San Castulo, che ricordava a tutti i “risvegliatori” il funesto motto latino: “memento mori.” Nessuno andava a servir messa nei pressi del reperto. Ma l’impresa più barbaresca era costituita dal rimuovere la pala dell’altare ove, nella grande tela, il fiorentino manierista Andrea Boscoli aveva dipinto, suscitando l’entusiasmo del grande Adolfo Venturi, la Madonna fra i santi Andrea e Sebastiano. Ogni anno il dipinto rischiava la distruzione. Fortunatamente “con perizia e sincronismo” gli “operatori” agirono con grande coscienza. In quell’anno Peppe de Fruscì onorò efficacemente il suo nomignolo (Fruscì in maceratese significa “mettere il naso – le froge – dappertutto”). Da qualche tempo aveva messo gli occhi su di uno sportello che “in cornu epistolae” dell’altare custodiva con tenacia chissà quale segreto e chissà da quanti decenni se non secoli. Si disse allora: “Vulimo vedè’ che ci sta?” Le tinteggiature del restauro (1936-‘38) avevano quasi nascosto la toppa di una misteriosa serratura. Con l’aiuto di “Benedetto lu velangià” (al secolo Benedetto Serrani) lo sportello pose in luce una urnetta che recava l’iscrizione “Ex brachio S. Andreae AP”. “Sant’Andrea? Non pole esse’ quill’apostulu che murì martire prima de San Pietro!” – “Ma che tte… adè de Asculi! No lo vidi che ci sta scritto AP, adè la sigla de Asculi… vulimo scummet te?” Ci si mise a consultare i documenti dell’archivio della Curia Vescovile, documenti di prima mano e non fritti e rifritti da “capezzatori” che mai citano fonti autentiche. Nel 1576 Papa Gregorio XIII nominava arcivescovo di Amalfi il maceratese Giulio Rossini (1540-1616). Come è noto fin dal IX secolo quella repubblica marinara venerava, nel Duomo, l’apostolo Sant’Andrea, contagiando anche il nuovo arcivescovo. Questi, da buon maceratese, volle dare ai suoi concittadini un segno del suo affetto. Ottenne dai canonici la cappella dedicata alla Madonna di Loreto incaricando della decorazione il notissimo manierista fiorentino Andrea Boscoli e la nuova cappella fu inaugurata il 21 dicembre 1605. Non pago il prelato il 4 settembre 1605 donò alla cappella, ormai di proprietà della sua famiglia, la insigne reliquia di un braccio, seppure senza mano, di Sant’Andrea apostolo, tratto, appunto, dalla cripta del Duomo amalfitano. Tale era la venerazione verso questa reliquia che, nel 1614, si stabilì di custodirla in una cassaforte chiusa da 5 chiavi che furono assegnate: al Vescovo, al Comune, al Capitolo cattedrale, all’Arcidiacono e alla famiglia Rossini. Le cose rimasero invariate fino al 13 febbraio 1772 quando, demolendosi la cattedrale quattrocentesca, la reliquia, chiusa in un busto, fu trasferita nella chiesa di San Carlo. Il busto però non entrava nel vano destinatogli sicché si dovette ricorrere a sistemare le reliquie entro una urnetta che, nel 1790, fu sistemata nella nuova cappella dei Rossini nel duomo dove, gradualmente, cadde nell’oblio. Ciò grazie anche agli avvenimenti politico amministrativi e alla trascuratezza degli eredi Rossini fra i quali il noto framassone conte Domenico Graziani-Mornati-Rossini, vivente e operante in epoca razionalistico-anticlericale. Si cominciava, allora, a dubitare sulla natura delle reliquie provenienti, in particolare, dal medio oriente. E qui entrava anche il nostro Sant’Andrea. Nel 1208, dopo la ben nota crociata veneziana, il cardinale Pietro Capuano acquistò a Costantinopoli (o a Patrasso?) il corpo imbalsamato, ma senza capo, (ora in San Pietro in Vaticano) di Sant’Andrea apostolo sistemandolo nella cripta del duomo di Amalfi. E le cose rimasero tali fin quando i “razionalisti” cominciarono a parlare di “sòle” (e non quelle delle scarpe…). A Macerata trovarono poco credito ma lentamente i dubbi crebbero e lo sportellino rimase chiuso. Poi Peppe de Fruscì fece la scoperta. Fu anche quella una “sòla”? Mah. Tanto, noi maceratesi in fatto di braccia sia adusati alle “sòle” e non ce ne pigliamo.
27 aprile 2017