IERI – Se avrete voglia di andare a osservare la facciata della chiesa delle Vergini potrete vedere, sulla sinistra, una targa in marmo appena ornata posta sotto una buchetta e con sopra inciso: “Elemosina per la fabrica”. L’iscrizione invita i passanti a versare nel buco una offerta, in quanto all’epoca erano la maggior parte delle persone ad andare a piedi, oggi è dimenticata perché transitando tutti in macchina la scritta non è più letta. Era un metodo semplice per passare dal cuore dei fedeli direttamente nelle loro tasche, un richiesta esplicita mitigata dal termine “elemosina” affinché la donazione, anche minima, a quel tempo rimpinguasse casse esangui. Logicamente prima era stata realizzata la “fabrica” (termine che non intende necessariamente la struttura ma l’istituzione) in modo che tutti potessero vedere cosa andasse a sostenere il contributo, o “carità” che dir si voglia.
OGGI – Nel 2017 (ma il sistema è in auge da parecchi decenni) la situazione è cambiata. Infatti prima si fa la buca (o il “buco”, se preferite) poi si chiedono i soldi e poi, forse, con la raccolta fondi (vale a dire: tasse dirette, indirette, volontarie) ci si realizza qualcosa. Ma in genere le “offerte” sono già finite prima di cominciare perché ci si tappa il “buco”. Con il terremoto la cosa non cambia, invece della buca con la scritta c’è la tecnica dell’essemmesse: tutti a inviare il soldino e… ancora non si sa che fine abbiano fatto quei milioni di euro offerti. La differenza è che secoli fa l’edificio prima lo erigevano e poi ti chiedevano l’offerta.
Fernando Pallocchini