Giuliana racconta: li mangereste oggi i fagioli “bucherati”?

Dopo un anno sono ritornato a casa di Giuliana, nella campagna treiese, per fare provvista di olio. Giuliana stava preparando la bruschetta abbrustolendo le fette di pane casereccio nel camino, sulla graticola, ricordando la nonna che le diceva: “Tu’ matre te vizia co’ tutto ‘ss’ojo che te mette sopra a ‘sse fette de pa’. Te ‘bbìdua proprio vè’…”. In realtà ce ne metteva solamente un filo.

 

La “retromarcia”

Suo nonno, tornato a casa dopo la guerra del ’15-’18, chiese: “Ddo’ sta Marietta?” – “Marietta sta giò lu campusandu”. Se l’era portata via la spagnola. In 21 anni di matrimonio era diventato padre 12 volte, fiero e orgoglioso di non aver mai preso precauzioni e di non aver mai fatto marcia indietro… Il padre di Giuliana aveva una cavalla cui veniva attaccato il ”volandrino”, una sorta di calesse, utilizzato per gli spostamenti e per portare al mercato i prodotti dell’orto. La bestia gli fu tolta dal padrone perché vecchia e non più utile, in sua vece fu acquistato un somaro. Giuliana si vergognava di montarci sopra perché ragliava e s’impuntava; i ragazzini gli facevano mangiare l’ortica sperando che si sbloccasse. Raccontando Giuliana continua ad abbrustolire il pane soffiando nel “cioffiatore”, lungo e stretto tubo di ferro usato per ravvivare il fuoco. Mentre raccoglieva le olive, circa 20 anni fa,  Giuliana cadde dalla scala e finì sopra una zolla secca, fratturandosi una vertebra, la L1, la più importante, rischiando paralisi e carrozzella. Portò il busto per 70 giorni con la pelle che, alla fine, era diventata rigida come cartapecora. Oggi continua ancora a raccogliere le olive… ma da terra, con il rastrello allungabile e con un telo messo sotto la pianta.

 

Le galline nella spazzatura

Fu mandata a scuola a 5 anni, così avrebbe finito le elementari un anno prima, a 10 anni, e sarebbe stata utile nei lavori dei campi o a casa. Al padrone dovevano essere portate 28 uova al mese, anche se le galline non le avessero fatte o, peggio, anche se le galline fossero morte. Così, più di una volta, furono costretti a comprarle al mercato pur di rispettare quell’obbligo. Se invece ce n’erano in abbondanza venivano scambiate con zucchero, sale… C’era, tra i vari obblighi, anche quello di portare al padrone un certo numero di galline al mese. Una volta il contadino si accorse che parecchie galline erano state buttate nella spazzatura e ne chiese il perché alla domestica. Questa rispose che il padrone non voleva che il contadino ne avesse più del dovuto perché altrimenti si sarebbe viziato: meglio buttarle nell’immondizia piuttosto che lasciarle a lui (che pativa la fame…).

 

I fagioli “bucherati”

Per colazione e cena c’era la polenta, per pranzo i fagioli “bucherati”, bucherellati dagli animaletti. La polenta veniva stesa sulla “spianatora”, o fatta a fette sistemate su una fiamminga, portata nei campi accompagnata da “lamette” di lonza e formaggio. Se c’era il vitellino il latte era per l’animale e, un po’, solo per i bambini. Per la frittata erano buone anche le “vitalle” raccolte lungo le fratte. Prelibate erano le “cucciole”, spurgate per 8 giorni con semola (l’assimola) dentro un sacco di juta. Il pane fatto in casa durava 8 giorni; l’ultimo giorno era duro come un sasso e si ammorbidiva con il vino, oppure ci si faceva la panzanella o, ancora, il pancotto. La crescia di farina e granturco veniva cotta sulla pietra infuocata del camino. Con uno scopetto si toglieva la cenere, si appoggiava la crescia sulla pietra, sopra la crescia si metteva un coperchio e sopra questo la brace. Così la crescia si coceva sotto e sopra per poi venire farcita con la salciccia. Per dolce c’era il “salame” fatto con fichi macinati, noci e sapa (mosto cotto finché diventa denso). Con i fichi si faceva anche la marmellata, da mangiarne qualche cucchiaino solo in casi eccezionali, come quando ci si ammalava. L’uva seccata al sole o  al forno serviva per arricchire qualche raro ciambellone o per il pane di granturco, entrambi spesso nascosti in camera, nel comò o nell’armadio, con un “affamato” che riusciva sempre a scovarli. “Giulia’… ‘mmazza quant’ojo metti sulle fette…” – “Ora, grazie a Dio, adè tutto lo nostro!” – “Giuliana, rifaresti la vita che hai fatto?” – “No!”

Umberto    

31 marzo 2017 

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