Esplode il “buco” di corso Cairoli
Intanto un vero e proprio cataclisma, di natura fino a ora completamente ignota, sta per abbattersi sulla Cassa: un pomeriggio dell’inizio di novembre 1984, Ageo Arcangeli, capo dell’ufficio segreteria, mi chiede di andar da lui con la polizza di assicurazione per il rischio “infedeltà”, recentemente rinnovata, perché sembra che ci sia qualche problema operativo con possibile ammanco nell’agenzia di città n° 2 di Macerata, in corso Fratelli Cairoli. Sull’istante, il primo pensiero di tutti corre al giro di assegni “cabriolet” legato alla vicinanza di un noto circolo cittadino in cui si gioca regolarmente d’azzardo, ma a poco a poco il quadro diventa più nitido, i particolari più certi, la natura e le dimensioni dell’evento sempre più sconcertanti, anche perché senza alcun tipo di precedente, almeno a memoria degli attuali impiegati. Le filiali coinvolte sono più di una e i dipendenti, per lo più in buona fede, molte decine; inizia così un’attività frenetica che porterà a una necessaria e radicale riorganizzazione dell’azienda, con costi molto maggiori dello stesso ammanco accertato, che alla fine ammonterà a circa 12/13 miliardi di lire. Esiziale la battuta di un noto personaggio maceratese, che transitando davanti alla filiale, si rivolse alla guardia giurata che stava sul marciapiede prospiciente con un “A chi fai la guardia, pupo? I ladri stanno dentro!” Arriva un team ispettivo della Banca d’Italia, che s’insedia per molti mesi presso la direzione generale, analizzando ogni aspetto della gestione aziendale; nasce in questo periodo il famoso conto “accentramento” con lo scopo di far emergere in tempi rapidi o rapidissimi le anomalie nel trattamento delle partite contabili viaggianti tra filiali e uffici. Arriva pure un perito del tribunale, che passa anch’egli al setaccio ogni attività che ha possibilità di collegamenti diretti o indiretti con la vicenda: la stessa segreteria è sottoposta a ripetuti “interrogatori”, diretti a capire come mai avesse proposto e attuato il rinnovo della polizza di assicurazione “infedeltà” proprio 6 o 7 mesi prima, aumentando il capitale assicurato da 500 a 2.500 milioni! Il perito sembra convinto che l’ufficio sapesse qualcosa e da ciò fosse stato spinto alla proposta di rinnovo della copertura; in realtà essa invece rientrava in un piano complessivo programmato di riordino e di aggiornamento del settore assicurativo, in corso da qualche tempo perché da anni trascurato, e la proposta dell’ufficio di un capitale assicurato di 10 miliardi era stata bocciata, in quell’occasione, dal direttore generale poiché ritenuta eccessiva e non realistica! Si prova anche a sostenere con la compagnia assicuratrice che il coinvolgimento anche della filiale di Passo di Treia rende il sinistro duplice, con il conseguente pagamento quindi di una doppia liquidazione per complessivi 5 miliardi. La richiesta è chiaramente provocatoria e senza reale fondamento, ma alla fine (“Alla Cassa non si può dire mai di no!”) si ottiene una liquidazione complessiva di 3 miliardi a titolo di transazione definitiva; un bel successo, ma siamo sempre ben lontani dal danno reale! Nel 1986 l’avv. Marconi va in pensione per raggiunti limiti di età, sostituito da Giuseppe Asdrubali, e anche Arcangeli lascia il lavoro per inabilità, lasciandomi così anticipatamente la responsabilità dell’ufficio segreteria. Nel mese di febbraio e in quello di aprile del 1987 il Ministro del tesoro nomina i nuovi vertici della Cassa: sono Giuseppe Sposetti, presidente, e Pietro Paolo Delle Fave, vicepresidente, che sostituiscono rispettivamente Dante Cecchi e Mario Rotini, in carica dal 1981, travolti pur senza colpa dalla vicenda dell’ammanco. La Banca d’Italia insiste per il rinnovo delle cariche, ma Cecchi soprattutto rifiuta, profondamente colpito dalla vicenda, ancorché assolutamente estranea alla sua responsabilità.
27 marzo 2017