L’astrolabio di Carlomagno

Il solito Paolo una domenica mi spedisce un link: sono in-formazioni su un oggetto desueto ed esotico, l’astrolabio più antico che si conosca, che dormiva nel Museo di Arte Araba di Parigi (www.qantara-med.org/qantara4/public/panorama). Essendo in voga in Europa specialmente nei secoli XII e XIV, con produzione concentrata a Barcellona, gli storici locali lo richiedono per esaminarlo, lo smontano e, dalle caratteristiche del manufatto lo attribuiscono al loro maggior maestro che visse a cavaliere del IX-X secolo.

Questo è il più antico astrolabio conosciuto. Gli astrolabi sono in lega di rame e constano di una base di supporto detta madre in cui alloggia un disco o lamina intercambiabile su cui è incisa la proiezione della sfera celeste locale, e una rete, mirabilmente traforata, riportante una ventina di puntatori detti fiamme, che rappresentano le stelle fisse del firmamento, e il cerchio dell’eclittica ossia il percorso annuale del sole. Il retro della madre presenta, sul bordo, una scala graduata che permette di determinare con l’aiuto del collimatore (alidada) l’altezza di un astro e, più all’interno, un gruppo di scale con cui determinare la longitudine eclittica del sole per ogni giorno dell’anno. Con la semplice rotazione della “rete” rispetto alla “lamina”, l’astrolabio ci fornisce una rappresentazione della volta celeste in ogni momento, consente di sapere quali astri stiano sorgendo o tramontando, di calcolare l’ora locale o il sorgere o tramontare del sole.

Essendo l’astrolabio preciso solo su uno specifico parallelo, per renderlo più versatile veniva realizzato con vari dischi intercambiabili ciascuno con due tracciati, uno per faccia. Per non fare confusione fra i dischi, latitudine e luogo di riferimento erano incisi in prossimità del cerchio d’orizzonte. E qui la prima sorpresa di questo astrolabio eccezionale: quando si smonta la lamina, compare sulla faccia interna la scritta  ROMA ET FRANCIA 41- 30 (ovvero la latitudine della capitale d’Italia). Per chi è avvezzo alle storie della Francia Picena una conferma in più, niente di trascendentale ma è una prova di ferro dato che la scritta è indelebilmente incisa nel metallo e non farloccabile. Per tutti gli storici benpensanti (che questa piccola notazione prende in contropiede), scattano le spiegazioni più assurde, da quella che vorrebbe che Francia si riferisca a Barcellona (più o meno stessa latitudine di Roma) perché essendo parte del Sacro Romano Impero era anch’essa in Francia, per spingersi fino al superlativo di sostenere che la scritta si deve intendere Roma Ifranja (di cui per mia incapacità non ho trovato alcuna spiegazione) ma la parola è stata travisata dall’incisore per ignoranza. Sostenere cose simili è dare del Sancho Panza a quelli che hanno realizzato l’oggetto, committente compreso.

Pur se strampalate quelle degli storici sono soluzioni a buon mercato perché se si accetta invece che Roma e Francia siano nella stessa regione centroitaliana (e siamo al tempo di Carlomagno), è tutta la categoria dei medievisti che dovrebbe sentirsi Sancho. Lo strumento è stato studiato e ristudiato, ma non funzionava tenendo conto della configurazione astrale del IX secolo. Allora, siccome c’era sotto anche un’operazione commerciale, ne è stato fatto un rilievo tridimensionale e una riproduzione in vendita sul web, alla quale però sono state dichiaratamente modificate le “fiamme” per portarlo all’era carolingia, in pratica un falso moderno.

Essendo in presenza di documenti “fisici” in genere non mollo la presa e ho girato la questione all’amico astrofisico Alberto Soldini il quale, dopo un attento studio delle immagini dell’astrolabio, ha fatto interessanti constatazioni circa il retro della “madre”, che si usa per determinare l’altezza degli astri e la longitudine eclittica del sole (quest’ultimo dato è necessario perché va riportato sul cerchio dell’eclittica nella faccia anteriore dell’astrolabio).  Di seguito Alberto riporta la descrizione delle sue scoperte: Studiando il retro dello strumento si rilevano due caratteristiche che forniscono risultati fortemente contrastanti circa la datazione dello stesso. La prima consiste nella data dell’equinozio di primavera (16 Marzo) che conduce a una datazione al X secolo, la seconda caratteristica è il cerchio eccentrico bene distinguibile, la cui orientazione di circa 52° rispetto al punto d’ariete conduce a una datazione completamente differente. Il cerchio più interno sul retro dell’astrolabio riporta un calendario Giuliano da cui si rileva che l’equinozio di primavera doveva cadere il 16 Marzo. Al tempo di Cesare, col calendario Giuliano del 45 a.C., venne fissata la data dell’equinozio di primavera al 25 Marzo, ma a causa dell’imperfetta corrispondenza del calendario con l’anno solare l’equinozio anticipava di 1 giorno ogni 128 anni. Il problema fu riconosciuto ufficialmente nel 325 d.C. (concilio di Nicea) con l’osservazione che in quell’anno l’equinozio astronomico era anticipato al 21 Marzo del calendario Giuliano, e  si decise di fissare l’equinozio a tale data. Il calendarionon fu aggiornato fino al 1582 quando l’equinozio era ormai slittato al 11 Marzo (in quell’anno fu introdotto il nuovo calendario Gregoriano e fu deciso di aggiungere dieci giorni per riposizionare l’equinozio al 21 Marzo).  Dunque al momento della ipotetica costruzione dell’astrolabio, l’equinozio di primavera era slittato, rispetto all’anno 325, dal 21 Marzo al 16 Marzo, di 5 giorni, che moltiplicati per 128 anni e sommati i 325 dell’origine ci porta a una datazione al X secolo. Per la seconda osservazione necessitano alcuni cenni storici. Gli astronomi antichi, nel rispetto della filosofia Aristotelica, assumevano che la Terra fosse al centro dell’universo e che il Sole si muovesse su un’orbita circolare con velocità costante. Facili osservazioni mostravano però che le stagioni avevano durate diverse come se il Sole accelerasse e rallentasse. Per tenere conto di questa anomalia gli astronomi adottarono la teoria del moto solare di Ipparco (II secolo a.C.) secondo cui il Sole ruota intorno alla Terra su una orbita circolare e a velocità costante, ma il cui centro non coincide con la Terra (orbita eccentrica).

p-10-11-astrolabecaroligien1Ipparco, nel 140 a.C., osservando la durata delle stagioni, calcolò la longitudine dell’apogeo dell’orbita solare e trovò 65°, un dato che oggi si ritiene corretto per quel periodo. Né Ipparco né successivamente Tolomeo (150 d.C.) per la mancanza di osservazioni storicizzate potevano intuire che l’apogeo non è fisso ma progredisce lentamente nel tempo (di 1,7° ogni secolo), scoperta fatta dagli astronomi arabi nel IX secolo. Sul retro dell’astrolabio, nelle scale della longitudine, distinguiamo un cerchio eccentrico (orbita del Sole) il cui apogeo è a 52° dall’origine. Ne deduciamo che il progettista conosceva la teoria di Ipparco ma non applicò né l’orientazione fissa di 65° né un valore maggiore come intuirono gli arabi (il valore corretto per il X secolo è di 84°). In tal modo lo strumento avrebbe  dato  sempre  valori  errati  (salvo che nei secoli antecedenti a Ipparco) e da qui si deduce che il progettista medievale non conosceva la scoperta fatta dagli arabi. Osserviamo che il retro dello strumento non ha collimatore (alidada). Forse è andato perso, ma la fattura del perno centrale sembra non consentire l’inserimento di un’asta girevole perciò il retro non era utilizzabile. Le mie impressioni conclusive sono le seguenti:

1 – Sia che fosse stato costruito interamente allo stesso momento oppure assemblato e completato in un periodo medio-lungo, questo astrolabio non fu certamente realizzato per un uso pratico ma solo come oggetto decorativo. Ma da chi? e dove?

2 – Il posizionamento anomalo dell’apogeo sconvolgerebbe le cognizioni storiche in materia, perché comporterebbe una datazione dello strumento ante Cristo e addirittura di alcuni secoli precedenti gli studi di Ipparco. È più ragionevole pensare che si tratti di un errore e ciò confermerebbe il collocamento del costruttore in aree lontane dall’influsso arabo, cioè da quella Spagna musulmana, astronomicamente colta, da cui è stata ipotizzata invece la provenienza dello strumento.

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Questo mi scrisse Alberto Soldini.

Ad aumentare la dose di sconcerto per la possibile ma improbabile datazione ante Cristo, mi è tornato in mente un brano dell’Eneide nel quale (libro VI) Anchise fa una profezia e dice fra l’altro: Mostrin con l’Astrolabio, e col Quadrante meglio del ciel le stelle e i moti loro” come traduce Annibal Caro.

Era dunque l’astrolabio un prodotto già noto e maturo ai tempi di Virgilio? A questo punto dobbiamo riconsiderare anche gli studi su questi strumenti, dando al tempo di Cesare quello che era del tempo di Cesare? Resta chiaro, adamantino e inequivocabile che sulla lamina ci sia scritto ROMA ET FRANCIA, e ciò sia l’ennesima prova della esistenza della NOSTRA Francia. Ritengo che quelli che hanno lavorato su questo astrolabio non fossero così sprovveduti da non notare questi dettagli, ma si sa, denunciare verità scomode e controcorrente non favorisce le carriere accademiche; inoltre nessuno ha mai commisurato il rimborso spese per la partecipazione ai congressi in funzione della veridicità dei contenuti dell’intervento, perciò il carrozzone della storia continua a trascinarsi per inerzia fra questi assurdi, divorando però risorse, in genere pubbliche.

di Medardo Arduino con la collaborazione di Alberto Soldini

07 marzo 2017 

 

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