Le Marche, terra dei Piceni e dei Salii

Nota del Direttore: articolo molto lungo ma decisamente interessante, che apre a ulteriori considerazioni sulla origine de le Marche e sugli sviluppi della storia che ormai appare sempre più certo sia stata ampiamente falsificata. Una serie di pagine di non facile lettura sul monitor ma che può essere scaricata e letta poi con calma. 

L’editore di Marshall McLuhan sosteneva che i suoi saggi erano difficili da pubblicare perché, seguendo un argomento strettamente commerciale, le tesi esposte risultavano innovative oltre il 60–70%, contro una media del 20-30%, rispetto allo stato delle conoscenze in quella specifica disciplina.  Può dirsi lo stesso, e gli auguriamo altrettanto successo, dell’ultimo libro di Medardo Arduino: Le Marche. Le terre dei Piceni e dei Salii un patrimonio da rivalutare. 2016. Treia : Medardo Arduino Edizioni. 211 pagine, 17,50 euro).

Crediamo che il valore delle ricerche di Medardo Arduino, architetto originario di Torino,  consistano principalmente nell’originale metodo di indagine storica fondato sulla sua capacità di “leggere” in maniera originale la cultura materiale storico-architettonica per risalire alla sua genesi progettuale, così come sullo studio delle  numerose incongruenze storiche a partire da analisi che ricorrono a nozioni di logistica e socio-economia. 

Frequentando gli scritti di Arduino sulle costruzioni altomedievali viene alla mente un passo di Silvano Panunzio dedicato all’architettura. Il metafisico ferrarese sosteneva infatti che le abbazie fossero dei «centri di vita intellettuale, spirituale e contemplativa aperti a tutti. Persino in un’Abbazia senza Comunità monastica, e abbandonata da secoli, è depositato un messaggio interiore che può manifestare d’improvviso la sua eloquenza. È quel che avvenne proprio al precursore del Movimento Liturgico, Dom Guéranger, il quale ricevette la sua ispirazione visitando Abbazie deserte e quasi diroccate. Egli sentì una vocazione dalle pietre, perché le pietre possono sempre parlare» (Panunzio, S. 2014. Contemplazione e Simbolo. p. 293). Il riferimento è qui all’aspetto liturigico-ecclesiale del monachesimo abbaziale ma è fuor di dubbio che le pietre possono parlare tanto al liturgista quanto allo storico dell’architettura. Non casualmente uno dei primi passi mossi da Arduino, sulle orme dei precedenti studi di Giovanni Carnevale che in queste ricerche è stato il vero apripista, è dovuto proprio all’osservazione della Chiesa di S. Claudio al Chienti presso Corridonia (MC) che ha suscitato la sua curiosità per la struttura architettonica certamente non concepita originariamente per il culto quanto piuttosto per funzioni civili (e per il cui studio specifico rimandiamo a “L’architettura del rinascimento carolingio nelle Marche”).

 s.claudio al chienti

( in foto: San Claudio al Chienti, Corridonia (MC). Vista dal fronte d’accesso)

La tesi principale di questo come dei precedenti scritti di Medardo Arduino è che la Aquisgrana di Carlo Magno è situata nella Valle del Chienti nelle Marche, corrispondenti a quella “Francia Antiqua” di cui parla il monaco Notker («In Francia quoque dicitur antiqua» in opposizione alla “Nuova Francia” «in pago austrie»)  e abitata dai guerrieri Salii Piceni fin dall’epoca pre-romana. Secondo l’autore «la prova più evidente resta il fatto che qui nel centro Italia un’infinità di fonti materiali testimoniano una presenza Carolingia che se fosse stata oltralpe come vuole la storia ufficiale, avrebbe dovuto lasciare là, in Germania, queste testimonianze materiali (palazzi chiese ecc) che invece oltralpe mancano totalmente, tanto da far scrivere proprio a uno storico tedesco [Illig Heribert] che la storia dei Carolingi è semplicemente inventata» (p. 10-11).

Una tesi questa che certamente cambierebbe la nostra visione della storia europea formatasi attorno a teorie ancora viziate dalle ideologie romantiche del XIX sec. e che tendono a negare il debito dell’Europa verso la cultura italica. Tanto che Rémi Brague ha descritto la politica culturale francese come uno «spettacolo comico della svalutazione dei Romani rispetto ai Galli, operata da un popolo che parla una lingua ereditata direttamente dal latino. […] E’ anche noto il contesto culturale nel quale si è formata questa rappresentazione: bisognava dare alla “nazione francese”, che era appena stata inventata, antenati comuni e un’ideologia comune» (Brague, R. 2005. Il futuro dell’occidente. p. 37).  Sulla stessa lunghezza d’onda, ma con diversi argomenti, le ricerche di Arduino sono volte ad affermare l’influenza culturale dell’Italia non solo nell’antichità, ma anche nell’alto medioevo. Per poter dimostrare questa tesi così rivoluzionaria per la storia dell’Europa, Arduino si avvale sia delle sue conoscenze in ambito architettonico, della logistica e della socio-economia, sia dello studio dei documenti cartacei da leggere però secondo questa nuova e originalissima prospettiva.

Dunque per l’autore la vera Aquisgrana è in Italia e precisamente nelle Marche. Ma come in un mosaico, lo spostamento di questo fondamentale tassello altomedievale comporta una rivisitazione complessiva della storia delle Marche e dell’Europa, fin dall’epoca pre-romana che ci apprestiamo a illustrare in questa sede “a volo d’uccello”.

Arduino parte dalla storia pre-romana e contesta la discesa dei Celti nell’Italia centro-settentrionale.  A partire dallo studio dei reperti rinvenuti nei siti archeologici si afferma invece che esisteva una koinè celtica nell’areale italico, fondata su una comune cultura materiale e su una lingua comune scritta. Così l’autore: «Ritengo che si possa ragionevolmente attribuire al bacino cisalpino e centro italiano di essere stato luogo della formazione della cultura “celtica” primeva, e non solo di quella materiale, perché qui insieme con la produzione e il transito di beni materiali diretti alle popolazioni transalpine si è ritrovato un fattore determinante che fa la differenza rispetto ai siti continentali della “celticità” e che inserisce Golasecca e i suoi sviluppi successivi inequivocabilmente nel contesto delle culture coeve nate nel Mediterraneo: la scrittura» (p. 31-32).

In particolare nelle Marche si sviluppa attorno alla Città dei Salii, corrispondente all’attuale area archeologica di Urbs Salvia in territorio di Urbisaglia (MC) – ed è bene evidenziare come non si riscontrino altre Urbs nell’areale italico all’infuori di Roma, una civiltà caratterizzata per la produzione “industriale” d’eccellenza nel settore dell’acciaio, con speciale riguardo per le spade, che consentirà lo sviluppo della civiltà celtica nell’Italia centrale. Una conferma questa di quella “costante geopolitica”, che certo non esaurisce lo spettro della politica, secondo cui una potenza è dominante se risulta primeggiare tanto nella produzione quanto nell’uso delle armi per l’egemonia, perché come scrive l’autore «lavorare l’acciaio e produrre fra l’altro le potentissime spade falcate, la cui presenza è maggiore nelle Marche che in ogni altra parte d’Italia, significa disporre di un bene di scambio ricercatissimo e di alto valore, fonte di notevole ricchezza» (Arduino, M. Il Piceno Salico un buco di storia o di geografia?, La Rucola). Tale preminenza politico-militare aveva i suoi riflessi anche in ambito economico con l’apertura di quelle vie commerciali di interscambio sia con l’ovest (lungo la via dello stagno, verso Bretagna, Cornovaglia e Irlanda) da cui i Salii ricavano la maggior parte delle materie prime, sia con l’est Europa (lungo la via dell’ambra) che con il Mediterraneo. Per l’autore infatti si può intendere con «“attività industriali” di questa epoca, quelle attività che comportano una filiera logistica di approvvigionamento di materie prime o semilavorati, di una serie complessa di conoscenze tecniche e di un vasto bacino d’utenza che giustifichino la concentrazione non artigianale delle manifatture» (nota 26, p. 64).

Tale popolo da noi conosciuto a partire dalle fonti degli storici romani col nome di Piceni, in realtà si faceva  chiamare Pòpuni che significa come per Rom e Inuit, gli Uomini. Per questo passaggio è presente nel volume anche un breve saggio dello storico Cortella.

Un’altra revisione storica riguarda la fondazione di Roma. Insieme con gli Etruschi, come sostenne per primo Dionigi d’Alicarnasso, furono perciò i Pòpuni a fondare l’Urbe e a tal proposito i nomi dei Re Numa Pompilio e Anco Marzio sarebbero rivelatori della provenienza “marchigiana” degli stessi: il primo da Numana, il secondo da Ancona.

Fu sotto l’imperatore Valentiniano che i Salii assunsero il nome di Franchi come premio per aver sconfitto gli Alamanni come scrive lo storico dei Franchi, Ademaro da Castel Potenza seu Ademaro di Chabannes: «Quapropter Valentinianus imperator eos Francos appelavit, id est liberos & ab omni tributos immunes». I guerrieri Salii furono perciò dichiarati esentasse sulla loro “terra salica” e iniziarono da allora ad essere riconosciuti con l’appellativo di Franchi.

Un argomento che interesserà i tanti studiosi dell’impero romano e delle ragioni della sua decadenza, è l’individuazione proposta da Arduino di tali cause nello tzunami provocato dal sisma verificatosi a Creta circa nel 365 d.C e registrato dallo storico Ammiano Marcellino. Sostiene Arduino che «L’impero romano ha ricevuto da questo cataclisma eccezionale il colpo di grazia soprattutto per il territorio italiano che più degli altri era legato e collegato da una rete di infrastrutture che assicuravano i movimenti di merci dai più disparati luoghi di produzione specializzata, innescando per mancanza di rifornimenti il processo di stretta autarchia dell’alto medioevo» (p. 92) e costringendo l’imperatore Valentiniano I, negli anni immediatamente successivi al cataclisma, a spostare la capitale dell’Impero a Milano.

Con la caduta dell’impero romano e il relativo disordine si prepara il campo per la rinascita dell’Europa a partire dalle abbazie benedettine e dall’organizzazione politico-militare fornita dai Franchi. Anche questa “alleanza” viene letta da un punto di vista logistico, con le abbazie benedettine che costituiscono una rete di gestione del raccolto e rifocillamento delle truppe franche in giro per l’Europa in cambio della protezione militare («fra le grandi abbazie strategiche quella di Farfa (Rieti) a sud, Nonantola (Modena) e Breme (Pavia) nella pianura padana, Val Monalesa nei Grigioni (CH), Novalesa sulle alpi Cozie (Torino)» nota 20, p. 129). Come sottolinea l’autore il grande numero di abbazie di origine benedettina nelle Marche e in generale nel centro Italia è un segno rivelatore dello sviluppo primo della civiltà franca proprio nell’areale centro-italico.

Accanto alle indagini logistiche Arduino compie anche osservazioni di carattere linguistico-culturali arrivando a contestare la tesi che vuole l’acquisizione della lingua e della cultura latina in due-tre generazioni per ragioni di pura sudditanza culturale verso la romanità. La storiografia ufficiale afferma che tale scelta fu dovuta a Clodoveo su pressione del clero, ma avvallare questa teoria appare poco verosimile se si considera la consapevolezza da parte dei Franchi del proprio valore politico-militare, e quindi anche culturale. L’autore si chiede se non è più logico piuttosto credere che quei popoli abitassero l’Italia da sempre e da sempre parlassero latino. In ciò è supportato dal giurista Pardessus che nel suo commentaire alla Legge Salica sostiene che «in base alla struttura concettuale dei testi la legge doveva necessariamente essere già stata scritta nella lingua originale dei Franchi, anche se è impostata sulle stesse forme del diritto romano. In effetti il Pardessus fa un’osservazione corretta: la lingua originale dei Franchi e il diritto romano sono entrambi in latino» (nota 3, p. 120).

La romanità dei Franchi è comprovata poi dal nome dell’Impero che è Sacro perché cristiano, ma anche romano. Una volta costituito il Sacro Romano Impero la storia procederà come la conosciamo con la divisione dell’Europa fra Carlo il Calvo, Lotario e Ludovico il Germanico che finiranno per perdere però il controllo della “Francia Antiqua” a vantaggio del Papato. Pur avendo i primi imperatori germanici rivendicato – indebitamente secondo alcuni storici locali – il possesso della “provincia picena”, la storiografia tedesca moderna avrà buon gioco ad accettare il dominio temporale del Papato, facendo propria la tesi della Aquisgrana situata ad Aachen per ragioni ideologiche destinate a celebrare l’antica grandezza della nazione germanica. Eppure  la “Donazione di Costantino”, documento oggi unanimemente riconosciuto come falso, dimostra ampiamente che il Papato era uso fare letteralmente “carte false” pur di legittimare il proprio dominio temporale sull’Europa occidentale. Sulla questione dei documenti cartacei, Arduino crede infatti che quelli a nostra disposizione siano tutti stati pesantemente interpolati in modo da far coincidere la ragion di stato, anzi le ragion di stato, con una storia altomedievale che come ha mostrato lo storico Illig è per buona parte inventata. Eppure l’autore ha portato per la sua tesi vari documenti, fra cui uno che vale la pena di essere citato, contenuto in Notice historique sur Sorèze et ses environs: «E’ l’atto di donazione di un appezzamento di terreno per la costruzione di un monastero nei fondi di Castrum Verdinius e, per il sostentamento dei monaci, il sovrano aggiunge due “pertinenze” facenti parte delle sue proprietà personali ovvero Villa Pinta e “coerente in alto” Villa Magna. La situazione “catastale” descritta dalla carta è perfettamente corrispondente ai siti di Casette Verdini in Val di Chienti […] da lì si vedono dall’altro lato della valle la frazione di Pinto di Colbuccaro e a questa coerente la zona archeologica di Villa Magna. […] I monaci titolari del diploma avevano infatti il beneficio illimitato nel tempo di scegliere in autonomia, alla morte dell’abate, il suo successore fra i confratelli del monastero “senza interferenze né da parte delle autorità laiche e neppure di quelle religiose”. Per questo lo hanno gelosamente custodito e poi ne hanno fatto fare una copia autentica dal notaio di Tolosa, perché “il vetusto documento è ancora leggibile anche se sbiadito e l’impronta dell’anello di Pipino ben riconoscibile e corrispondente a quella del sigillo attuale del re di Francia”, come recita la formula d’apertura della collazione. Buon ultimo il documento è rogato nel palazzo di aquis gram [aquisgrani]» (nota 30, p. 117-118).

Fra le varie altre ricerche storiche di Arduino merita essere riportata quella secondo cui  la Francia Salica Picena corrispondente al territorio delle attuali Marche, costituiva durante l’alto medioevo l’antenato dei futuri stati nazionali che si caratterizzeranno per la sovranità su un territorio definito e protetto militarmente. A rivelarlo anzitutto sarebbe la cospicua presenza nelle Marche di costruzioni a mezza valle risalenti all’alto medioevo. Scrive infatti l’autore: «L’esistenza di questi edifici pone alcuni quesiti soprattutto sulla presenza e sulla forma del potere politico reale che è collegato alla loro esistenza e sopravvivenza. Il più evidente riguarda la loro collocazione fuori dagli abitati protetti, in luoghi non difendibili e senza resti di poliorcertica passiva intorno. Il secondo è relativo alle risorse necessarie a costruire una così gran quantità di strutture da parte di comunità monastiche locali che non sono ancora gerarchizzate e potenti come dopo le riforme dei Cistercensi e dei Cluniacensi» (p. 116).

In margine ad un libro così importante sia per i contenuti che per i metodi che introduce proponiamo due nostre riflessioni. La prima di carattere giuridico: la Francia Salica Picena rappresenterebbe un tentativo di  formazione di un ente proto-statuale costituito, seppur in forma spuria, da quegli elementi che gli riconosciamo oggi cioè il popolo, il territorio e la sovranità. Quanto al popolo si è già detto dei Pòpuni il cui nome «Popunis contiene la radice di populus che in latino significherà l’esercito (l’insieme degli uomini validi) e poi appunto il popolo, la gente, la comunità politica territoriale» (p. 70). Pur in contingenze storiche differenti, si può ipotizzare che tale concezione tipica della popolazioni italiche pre-romane e conservata durante l’epoca romana, rappresentasse un bagaglio dell’autocomprensione politico-giuridica dei Franchi Salii. Il territorio della Francia Salica Picena era corrispondente più o meno a quello delle attuali Marche ed era difeso da quelle costruzioni che come mostra efficacemente Arduino, al pari di S. Claudio al Chienti sono diventate chiese ma che erano probabilmente concepite per la difesa e poste perciò ai  suoi confini: Santa Croce degli Atti a Sassoferrato (AN), S. Vittore delle Chiuse presso Genga (AN), San Giusto a Pievebovigliana (MC), Santa Maria di Portonovo (AN) e San Marco alle Paludi di Fermo. Quanto al terzo elemento, come sostiene Quaglioni nel suo attuale e prezioso saggio La sovranità, sarà la formula rex in regno suo est imperator a fungere da «“incunabolo” dell’idea di sovranità nel passaggio dal Medioevo feudale alla formazione dei paradigmi che annunziano la modernità» (Quaglioni, D. 2004. La sovranità. p. 25). Definita concettualmente da Bodin agli albori della modernità in opposizione alla disputa ecclesiale-imperiale ormai entrata in crisi, la sovranità risulta essere certamente un concetto estraneo all’esperienza giuridica altomedioevale. Ma a ben vedere  anche la concezione teologico-politica dell’auctoritas esclusiva del Papato lo è. Scrive infatti Panunzio a proposito di Carlo Magno e del contesto della disputa ecclesiale-imperiale: «L’evento a Roma della notte di Natale dell’anno 800 lo colse di sorpresa. Secondo Eginardo («Vita Karolis») gli fu addirittura sgradito. La curia romana, dunque, volle fare per prima il colpo, prendendo l’iniziativa e cercando di orientarla ai suoi fini. Della celebre cerimonia si originò il secolare equivoco. Chi era il primo nella Cristianità? Entrambi – Leone e Carlo – rivendicavano il primato e si lasciarono con questa intima convinzione. Le fonti sono oscure sullo svolgimento dei fatti. Ecco la ricostruzione del Gregorovius. Durante la Messa, Carlo si inginocchiò davanti al Celebrante – Leone III – ricevendo la Comunione. Ma poi gli fu imposta sul capo la corona imperiale dal Pontefice e questi compì davanti all’Imperatore l’adoratio (prosternazione, rito consuetudinario davanti all’Imperatore bizantino) mentre il popolo romano compiva l’acclamatio. Nel mosaico del Triclinio lateranense (dovuto a Leone III) si notano: il Cristo che dà le chiavi a Papa Silvestro I e il labaro a Costantino; poi, S. Pietro che dà il pallio a Papa Leone III e lo stendardo a Carlo. È evidente che il nuovo Impero – diverso dal Romano classico – è l’Impero di S. Pietro in quanto Vicario di Cristo, Imperatore Celeste, è cioè l’Impero Cristiano e apostolico; ma non risulta al suo inizio nessuna subordinazione dell’Imperatore al Pontefice, i due poteri sono originari e radicali. Carlo lasciò pensieroso Roma e per 14 anni meditò di chiarire i rapporti giuridici tra Chiesa e Impero. Non fece ciò di suo pugno, ma affidò il compito al figlio Ludovico il Pio (presente alla Notte del Natale 800); questi, a sua volta, trasmise la consegna al figlio e poi Imperatore Lotario. Il Constitutum Lotarii dell’824 stabilisce il giuramento di fedeltà del Pontefice neo-eletto all’Imperatore. Era l’idea di Carlo che si riteneva «re e sacerdote, capo e guida di tutti i cristiani». (Panunzio, S. 1979. Metapolitica. p.582). Dunque la concezione teologico-politica per la cristianità occidentale non era molto diversa da quella che si stava elaborando in quello stesso momento in area bizantina nella “Seconda Roma”. Gli imperatori carolingi presumevano infatti di detenere in via esclusiva sia l’auctoritas che la potestas, mentre il Papa Leone III  riconosceva probabilmente una co-originarietà dell’auctoritas, come nella teoria dantesca dei due soli, sia in capo a se che in capo all’Imperatore.

 triclinio lateranense

(in foto: il Triclinio Lateranense, o Triclinio Leonino presso il Palazzo del Laterano)

Se è dunque certo che non si può parlare correttamente di sovranità senza trasporre forzatamente nozioni giuridiche moderne in una temperie completamente diversa come quella medioevale, d’altro canto non si può negare come osserva acutamente Manzin nel suo rilevante studio Ordo Iuris. La nascita del pensiero sistematico, che la formazione dei concetti giuridici della modernità era stata preparata almeno a partire dalla diffusione della filosofia neoplatonica diffusa in Europa proprio durante l’età carolingia. «Nel corso dei secoli che vanno dal VII al IX il concetto di ordine sistematico elaborato dal neoplatonismo avrà, per diverse ragioni, modesti riflessi sul pensiero filosofico giuridico e politico, riprendendo tuttavia vigore in età carolingia, grazie soprattutto all’Isagoge di Porfirio (nella versione latina resa da Boezio) e alla traduzione eriugeniana del corpus areopagiticum» (Manzin, M. 2008. Ordo Iuris. p. 156). Nello stesso testo Manzin mostra che l’affermarsi della modernità e del “pensiero sistematico” «era soltanto il prodotto di una ben precisa linea filosofica – quella neoplatonica – fissatasi in Proclo, Dionigi e Tomaso. Delle alltre possibili linee, delle altre visioni che l’intreccio tra l’eredità classica e la novità cristiana aveva prodotto nel Primo Millennio, ad un certo punto si tacque. Un silenzio imposto dal potere e verosimilmente riconducibile, sul piano storico, alle esigenze del nuovo ordine giuridico e politico rappresentato dall’impero carolingio». (Manzin, M. 2008. Ordo Iuris. p. 162). Che ci sia un evidente legame fra il pensiero sistematico inteso come reductio ad unum e il concetto di sovranità ce lo mostra Quaglioni quando scrive del paradigma funzionalista della sovranità, che costituisce «una sorta di secolarizzazione del concetto teologico-politico della reductio ad unum, della riduzione a unità di un ordine politico per mezzo di un principio autoritario, centralizzatore, “razionalizzatore” in senso giuristico» (Quaglioni, D. 2004. La sovranità. p. 6). Forse l’esigenza di trovare un principio di ordine sistematico nella politica altomedievale, era dettata oltre che dalla situazione travagliata che l’Europa stava vivendo, anche da quelle occorrenze cui il potere carolingio cercò di dare risposta, senza riuscirci considerati gli esiti, di coordinare il governo di quell’entità proto-statuale che fu la Francia Salica Picena con lo sconfinato Sacro Romano Impero ricorrendo al pensiero sistematico col quale si presumeva di risolvere con il rapporto di gerarchia e di identità, la supremazia del Regno della Francia Salica sull’Impero, oltre che sul Papato. Nell’VIII-XIX sec. gli intellettuali della corte carolingia potrebbero infatti aver provato ad elaborare un regime giuridico-politico che riducesse la molteplicità dell’Impero sconfinato, cioè non protetto militarmente in tutti i suoi confini, nell’unità delle terre demaniali saliche definite giuridicamente in senso “moderno”. Adottando questa prospettiva, il dibattito accademico degli inizi del XX secolo attorno alla origine italiana o francese della formula rex in regno suo est imperator, “incunabolo” dell’idea di sovranità, e della quale conosciamo diverse varianti (rispetto alle quali si può ipotizzare una comune derivazione da una più risalente formula altomedievale che può aver connotato la concezione “sistematica” carolingia del potere), che ha visto protagonisti in particolare gli storici del diritto Calasso e Ercole, sarebbe forse risolto riconoscendo la ragione in entrambe le parti:  la formula sarebbe tanto italiana quanto francese, posto che la “Francia Antiqua” era un’entità giuridica situata in Italia. Quale che sia la verità, che andrebbe indagata senza paraocchi, magari studiando il Constitutum Lotharii, la Lex Salica e le ricerche di interpreti moderni come il Pardessus, il pensiero sistematico ebbe infine larga diffusione nell’ecumene cristiana e contribuì alla formazione di quei concetti giuridici moderni, fra cui quello di sovranità elaborato da Bodin grazie all’apporto dei contributi, fra gli altri, di Bartolo da Sassoferrato e Baldo degli Ubaldi.

All’altra riflessione di indirizzo geopolitico, abbiamo già accennato illustrando le tesi dell’autore sul rapporto fra carolingi e benedettini e sulla eccellenza nella produzione di armi in acciaio. Ulteriori spunti di ricerca in questo senso potrebbero provenire seguendo quella originale “prospettiva metapolitica e geopolitica” proposta da Falchi nel suo bel saggio Il politico e la guerra che in maniera complementare con quella di Arduino, propone una imponente ricerca sulla storia mondiale in cui la «funzione politico-strategica decisiva può essere svolta (sia pure in forma “mistificata”) proprio dall’Economico» (Falchi, F. 2015. Il politico e la guerra. p. 8. Nuova edizione disponibile su Academia.edu). Seguendo una prospettiva non troppo diversa, volta ad analizzare il momento politico-militare congiuntamente con quello economico, Arduino descrive la funzione politico-strategica dei Celti in epoca pre-romana, lungo la via dello stagno: «Con l’accrescimento del benessere sia dei vertici sia delle masse intermedie delle comunità con siti prossimi alla via dello stagno, questo canale di flusso bidirezionale di ricchezze “si adegua” alle leggi politico-economiche di sempre: più la situazione è “strategica” più crescono gli interessi locali. Questo comporta per il trasformatore di materie prime un necessario controllo continuo e quasi assoluto degli approvvigionamenti sia per assicurarsi le materie indispensabili alla continuità della produzione sia per mitigare le richieste presumibilmente crescenti degli “intermediari” politici locali. Il controllo degli approvvigionamenti procura inevitabilmente azioni militari ed occupazione dei siti di valenza strategica assoluta» (p. 39). Seguendo questo punto di vista, crediamo si possa fare analogo discorso anche nel centro-sud dell’Italia. Infatti la importante presenza benedettina a Montecassino confermerebbe la posizione di baricentro delle Marche rispetto al territorio italiano non solo in senso geografico ma anche in senso politico. Se da un lato gli interessi commerciali erano rivolti principalmente al Nord Europa, dall’altro era necessario difendersi dalle scorrerie degli Arabi, i quali pur coinvolti nei conflitti con i Bizantini nel Mediterraneo, avrebbero potuto conquistare agevolmente l’Italia dalla sponda meridionale se non fosse stato per un’adeguata difesa militare su terra. Fu infatti durante l’età carolingia che iniziò quella che sarebbe stata la lunga dominazione musulmana dell’intera Spagna, mentre gli Arabi dovettero fermare la loro forte espansione militare alla sola Sicilia.

Abbiamo lasciato per ultima la tesi di Arduino sulla localizzazione della vera Aquisgrana. Secondo l’autore la Chiesa dove è stato tumulato Carlo Magno è da individuarsi nella Basilica di Santa Maria a pié di Chienti, o per dirla con gli Annales regni francorum quella   «Basilicam quam capellam vocant» che dà il nome ad un saggio di Arduino sull’argomento. Si tratta di un edificio altomedioevale costruito su fondazioni romane e dedicato precedentemente al culto del Dio celtico Granno, dio della salute e delle sorgenti curative e distante pochi kilometri dalla vicina Montis Grannariyus, oggi Montegranaro. Come per le altre ricostruzioni storiche Arduino rivendica il ruolo decisivo della toponomastica che nonostante tutto resiste alla volontà dei potenti. Infatti «i toponimi che sono ancora supportati da reperti archeologici o strutture architettoniche nelle quali siano leggibili le matrici antiche, sono una prova, non una labile ipotesi» e di gran lunga più affidabili di quelle testimonianze invocate per «quei siti storici dei quali non esiste nulla tranne la dubbia trascrizione di un documento o un toponimo messo lì in una cronaca di cui non c’è alcun ricordo dell’originale» (p. 199). Il riferimento è in questo caso alle prove  che vorrebbero Aquisgrana situata in Germania dove nella Cappella Palatina, «fra i bellissimi e “San Vitaleggianti” mosaici di queste volte spicca una barca con timone incernierato, una conquista della cantieristica navale del XVI sec.» (p. 195). Si rimanda al testo per altri argomenti confutatori su Aachen, così come per la questione della difficile convivenza nell’Italia altomedievale fra Franchi e Longobardi o ancora per la spiegazione filologica della poca verosomiglianza del termine “maggiordomo” con riferimento ai Maggior signori nella società altomedievale.

 qui riposa carlo imp

(In foto: Ademaro di Castel Potenza seu Ademar di Chabannes. Disegno a penna, riproduzione dalla rivista MEDIOEVO – Un passato da ricostruire, n° 11 (70), novembre 2002. Originale all’Archivio Manoscritti Vaticano. Sull’avancorpo laterale spicca la scritta HICREQUIESC KAROL Imp. Secondo le tesi di Arduino il disegno di Ademaro è coerente con la Basilica di S. Maria a piè di Chienti, Montecosaro (MC) che pur diversa condivide alcune determinanti caratteristiche, fra cui l’impianto e buona parte delle fondazioni.  E’ altresì evidente la rassomiglianza con la “chiesa rotonda di Preslav” studiata da Claudia Barsanti (Riflessi bizantini nella architettura monastica delle Marche. in 1992. Atti del convegno internzionale.) in una ricerca sulla relazione delle chiese bizantine con le chiese a pianta quadrata delle Marche)

Per concludere cerchiamo di rispondere ad un possibile dubbio del lettore che si starà forse chiedendo come mai nelle Marche restino così “poche” tracce – di quelle che però interessano più il turista che lo studioso – della presenza carolingia, confrontata con la maestosità di Aachen. Posto che la nostra idea di quella che era l’Europa altomedievale risulta adulterata dalle ideologie romantiche, Arduino fa notare che Eginardo descrive il luogo della Basilica come  un vicus di poche e umili case e non come una città, come poteva esserlo Urbs Salvia, distante pochi km. Quanto a quest’ultima ipotizziamo un confronto con la città di Ani in Turchia che visse il suo splendore in contemporanea col periodo carolingio, e che dopo un terremoto nel 1319 (fenomeno piuttosto frequente anche nelle Marche) e sfortunate vicende politiche, fu abbandonata nel 1750. Oggi è un’area archeologica che il governo turco vuole recuperare, prendendo in considerazione però solo il passato turco e musulmano, negando l’origine armena e cristiana della città. Non molto diversamente dall’esempio di Ani, ad Urbs Salvia e in generale nelle Marche, la cui situazione politica e demografica è certamente diversa da quella turca, in presenza di un potere per niente intenzionato a conservare lo stato degli edifici nel loro uso architettonico originale e perciò in coerenza con la loro storia, le costruzioni sono state riadattate per funzioni diverse da quelle originalmente concepite o utilizzate come deposito per materiale edilizio idoneo al riuso, rendendo così più difficile la loro vera identificazione.

Con questa nostra ultima riflessione ci auguriamo di aver illustrato al meglio queste ricerche di revisione della storia carolingia, che seguiamo da qualche anno, e che ci sono apparse convincenti e ricche di ispirazioni, auspicando che alla luce dei tanti argomenti portati da Arduino, il lettore possa guardarle con interesse e magari confrontarsi con esse con le armi dell’argomentazione retorica, che consentono di discutere apertamente le questioni poste e magari proporre confutazioni, purché volte a cercare la verità storica.

Medardo Arduino. Originario di Torino dove visse e completò gli studi al Politecnico cittadino laureandosi con una tesi sull’architettura medievale del Piemonte. Professionalmente ha seguito un duplice percorso scientifico come ricercatore nel campo della fisica meccanica e dell’automazione da un lato e della ricerca storico architettonica e progettazione dall’altro. Per la sua attività di consulente per l’automazione di processo e la logistica, ha lavorato dapprima nelle città industriali Europee nel campo dei mezzi di trasporto e poi è passato ai sistemi portuali mercantili, con l’automazione e il controllo di processo degli impianti di sollevamento di grandi porti del circuito internazionale maturando interessanti esperienze anche nella comunicazione e collaborazione con le diverse culture del mondo dello “shipping”. 

Si è infine fermato nelle Marche, attratto dalla bellezza del paesaggio e dalla ricchezza di testimonianze di una cultura antichissima e vasta, ma poco valorizzata e piena di affascinanti “misteri”. Dopo vari e frustranti tentativi di coinvolgere la ricerca storica ufficiale  nel doveroso riesame delle testimonianze di cultura materiale e di revisione degli assiomi della storia originati dalle ragioni politiche nazionalistiche dell’ottocento romantico centroeuropeo, di fronte all’immobilismo di una storiografia tanto conservatrice quanto traballante per l’avanzare di nuove tecniche d’indagine, ha iniziato col supporto di pochi amici a proporre le sue tesi originali, come autore ed editore di se stesso. 

Paolo Ciccioli

24 gennaio 2017

 

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