Valerio e i marchigiani tartassati

Il 12 settembre 1860 Lorenzo Valerio con Regio Decreto è nominato Commissario Straordinario per le Marche. Il Valerio, alto massone, rappresenta il perfetto e ottuso burocrate piemontese strettamente ligio al governo sardo. Il Commissario non aveva particolari discrezionalità verso l’amministrazione della regione, il suo scopo era esclusivamente quello di piemontesizzare il territorio, e al massimo poteva promulgare norme peggiorative rispetto a quelle sarde, come effettivamente fece. Nel periodo in cui restò in carica, fino al 18 gennaio 1861, firmò ben 854 decreti, e questo dimostra esclusivamente la fretta di mandare in vigore la legislazione sarda nelle Marche. Tra i decreti, nel gennaio 1861, quello molto importante per le ripercussioni economiche e politiche, sull’abolizione delle corporazioni religiose. Intanto con decreto del 24 ottobre venne indetto il Plebiscito per i giorni 4 e 5 novembre. Furono ammessi al voto segreto tutti i cittadini maschi di almeno 21 anni che godevano dei diritti civili. Il Valerio con decreto del 3 novembre 1860, il giorno prima del Plebiscito, con grande magnanimità abolì la Tassa sul Macinato a partire però dal 1 gennaio 1862. Pertanto alle Marche spetta triste primato di essere l’ultima regione del nascente Regno d’Italia in cui la tassa venne soppressa, poiché l’Umbria e i territori dell’ex Regno delle Due Sicilie avevano già provveduto nel 1860. Il fatto che il decreto di abolizione fosse stato promulgato il giorno prima del Plebiscito, risulta solo un atto offensivo dell’intelligenza dei marchigiani. Tanto fu che si scatenò una già latente polemica verso il Commissario. Anche l’unico giornale pubblicato a Macerata, L’Annessione Picena, iniziò un’aspra critica alimentata anche dalla constatazione che i liberali erano stati estromessi dall’attività del governo. Il Valerio la riporta nella sua relazione finale scrivendo che la polemica mascherata sotto specie di opinioni politiche, nascondesse solo interessi materiali e rancori personali (poverino: ce l’avevano tutti con lui!). Sempre nella relazione finale al Ministero dell’Interno, il Commissario giustificò la tardiva soppressione della tassa sul Macinato con il fatto che le Marche, precisiamo, il Regno d’Italia, avrebbe perso 1.850.000 lire di introiti, con il rischio di un’eventuale penale o causa giudiziaria della società concessionaria dell’esazione dell’imposta e con il dovere di cercare di salvare dal licenziamento i mille impiegati addetti. Riguardo il mancato introito era venuto meno anche nelle altre regioni che avevano provveduto in maniera diversa, e per la eventuale penale o causa per danni, in un cambiamento di regime la questione era molto complessa. Riguardo il problema dei licenziamenti, era molto probabilmente solo una scusa per nascondere i rapporti cliente-lari tra la concessionaria dell’imposta e il nuovo governo italiano: la questione meriterebbe un approfondimento rigoroso che non mi risulta esser stato fatto da alcun storico. La tassa sul Macinato colpiva tutte le categorie, ma prevalentemente e pesantemente le classi sociali più deboli, tassando il principale e a volte quasi unico mezzo di sostentamento. Situazione peggiore per la tassa detta dei 350.000 Scudi. Valerio pensò di creare un’imposta sull’importazione di vino e birra ma non aveva compreso che nelle Marche non  si  beveva birra e che nel territorio si produceva invece molto vino. Essendo pertanto gli introiti molto scarsi, non si perse d’animo e penso di sostituirla con una tassa pontificia molto evasa del 1854, che imponeva un versamento di 350.000 scudi annui da ripartire tra tutti i comuni delle Marche. Incredibile è che ne chiese il pagamento dal 1855. Le furiose proteste dei sindaci ebbero alla fine il risultato di farla applicare solo dal 1861! Svantaggiò quindi i comuni virtuosi che avevano pagato, favorendo invece quelli morosi. Questo dimostra ulteriormente che l’unica preoccupazione del Commissario fosse quella di rimpinguare le vuote casse dello stato senza badare minimamente alla popolazione. I cittadini avrebbero dovuto capire i sacrifici da fare per la Unità e per la Libertà, ma è ben difficile capire quando non si hanno i mezzi per vivere, per sostentare la famiglia: passano gli anni e le cose purtroppo non cambiano! Inoltre il nuovo governo aveva perfino espropriato i beni delle Congregazioni Religiose, che provvedevano alla meglio, e pur se in maniera paternalista, alle esigenze dei diseredati, vendendoli con modalità e prezzi che avevano favorito solo il nuovo ceto di notabili a cui verrà messa in mano l’amministrazione del territorio; spesso uomini compromessi con il vecchio regime che riconquistata velocemente una verginità politica non si fecero scrupolo di fare affari con i nuovi dominatori. Quello che si dimentica, è che in pochi mesi, dopo lunghi secoli di dominazione pontificia, la popolazione fu soggetta a un nuovo regime di cui ben poco conosceva. L’idea nazionale molto spesso era sentita solo dal ceto più colto della società che aveva vissuto a volte anche in prima persona le lotte risorgimentali. Per concludere voglio riportare ciò che scriveva La Civiltà Cattolica (non ci sono più i gesuiti di una volta) sulla morte e sul singolare funerale del Valerio svolto a Messina, nella chiesa della S.S. Annunziata con rituale massone :

«Era Framassone schietto e d’alto grado. Era dunque naturale che la setta massonica gli pagasse un tributo di onori e di compianto;…Le società massoniche si scossero alla morte di lui, ed il giorno 28 insieme con gli impiegati di Prefettura, Questura ed altri funzionari, intervennero nel corteggio funebre, col loro stendardo ed adorni di tutte le corrispondenti insegne massoniche. Della stessa guisa intervennero,  il  giorno  seguente  29,  nella chiesa della SS.

Annunziata, ove stava eretto il catafalco, per ascoltare l’elogio al defunto, letto dal sacerdote Montero… Però verso le 9 3/4 a.m. del suddetto giorno, udissi partire di sotto al catafalco un forte scoppio, ed al puzzo e ad altri segni si conobbe essere scoppiato il cadavere giacente nella cassa di piombo che bisognò trar fuori e trasportare in un giardinetto, annesso alla suddetta chiesa, ed ivi fu lasciato sino a sera.»

Modestino Cacciurri

11 gennaio 2017 

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