Ci voleva proprio il terremoto!

Purtroppo sì, ci son voluti i terremoti, quelli ultimi e paurosi di Ottobre, che come Dio ha voluto, non hanno più chiesto un tributo di vite umane, ma di storia, di memoria, di cose importanti e di abitudini di vita. Prima di questa estate di caldo, paura, disperazione, morte e splendida solidarietà umana dei soccorritori, avevo scritto su questo foglio proprio di un terremoto particolare verificatosi a Spoleto, durante una visita di Carlomagno. La descrizione che l’autore faceva degli effetti del sisma la giudicai esagerata, perché disse che si spaccarono monti ed esondarono fiumi e si distrussero villaggi e torri e mura di città. Non descrisse però, perché scriveva nel XVII sec. riprendendo memorie antiche, il senso di impotente terrore nel vedere, in una splendida mattinata di sole, la tua casa che oscilla come l’albero di una barca a vela, muovendosi di una decina di centimetri al filo gronda.

Gli effetti di quel terremoto di Spoleto, scrive l’autore seicentesco, furono avvertiti sia a Roma che ad Aquisgrana in Francia, proprio come in questi giorni. Alla seconda scossa del sisma di Agosto, ero fuori in cortile, e avevo potuto sentire il rumore di un vento fortissimo di bufera precedere i sussulti del sisma, mentre intorno a me “non spirava un alito di vento” (ho navigato 50 anni a vela e i venti e le loro urla le conosco bene): era invece l’effetto sonoro di una componente delle vibrazioni sismiche, la stessa che fece scrivere al cronista dell’anno 829 che in piena notte durante il terremoto di Pasqua ad Aquisgrana, un vento fortissimo staccò le scandole plumbee del tetto della “Basilicam quam Capellam vocant” oggi santa Maria a piè di Chienti. In questo periodo tutti i mezzi d’informazione hanno esibito mappe del rischio sismico in Europa, dove fior di specialisti hanno colorato di rosso e di viola il nostro Appennino, stendendo un bel verde di assenza di rischio sismico nel nord del continente europeo.

La Renania Westfalia, dove gli antichi romani realizzarono una stazione termale di nome Aquis Villa, oggi Bad Aachen, usurpatrice del nome del sito carolingio di Aquisgrana (per volere degli storici tedeschi col placet dei nostri), è proprio nel mezzo di questo mare verde. Invito perciò, insieme con tutti i suoi colleghi, quel ricercatore storico maceratese che scrisse su facebook che il terremoto di Spoleto che ho citato non provava nulla, a fare un minimo esame di coscienza ripensando a quando, poche settimane fa si sentì tremare la terra sotto i piedi, pur non essendo in Westfalia ma proprio in quella Francia citata dal documento antico. Aver potuto constatare che le descrizioni dei sismi avvenuti in passato (anche quello le cui distruzioni nelle Marche sono state attribuite ad Alarico – cfr Francos la storia da riscrivere) costituiscono insieme con le testimonianze di cultura materiale prove inconfutabili (perché fisiche e tangibili) che le mie tesi sulla vera storia delle Marche e della Francia Picena scoperta da don Carnevale non sono capitoli di un romanzo storico di fantasia, ma siano invece tesi degne di considerazione, questo non mi riempie di ulteriore soddisfazione perché prevale l’angoscia.

Mi irrita invece profondamente che “storici” dai nomi importanti e noti siano comparsi in televisione con lamentosi atteggiamenti di prefiche per dire che questo terremoto ha gravemente danneggiato o distrutto le testimonianze di una grande cultura altomedioevale che aveva il suo centro a cavaliere dei Sibillini, riconoscendo in questo l’esistenza di una patrimonio materiale figlio di una storia diversa che dall’alto delle loro cattedre o hanno negato o hanno colto con sorrisetti di sufficienza. Questi signori che solo adesso danno a intendere di aver sempre conosciuto gli sconosciuti tesori del nostro passato, non sono mai stati sfiorati dalla curiosità di sapere chi, con quale autorità e per qual fine, abbia fornito ai monaci Benedettini privilegi giuridici, terreni e risorse indispensabili per realizzare le migliaia di costruzioni “romaniche” che caratterizzano, (non voglio dire caratterizzavano) il nostro paesaggio in quel passato che chiamiamo alto medioevo.

Perché non chiedersi chi aveva potere e sostanze da elargire ai seguaci del Norcino, i quali, come essi signori dovrebbero sapere, non erano una holding finanziaria con enormi capacità d’investimento: non lo fanno per-ché la risposta può sconcertare? Invece di ribadire i rugginosi assiomi delle storie farloccate due secoli fa, questi professionisti della ricerca storica dovrebbero provare a darsi risposte in questo senso, visto che adesso sembra che tutti conoscano e riconoscano l’esistenza di un periodo finora negato (nel quale secondo G. Wagner Riegher le Marche erano una “retroguardia culturale”) e ancora, se non hanno la preparazione per fare direttamente le valutazioni, leggano le stime degli enormi costi dei restauri fatte dagli esperti, stime che non possono non essere direttamente proporzionali, fatti i debiti raffronti epocali, con i costi delle migliaia di realizzazioni originali.

È per me amaro constatare come ci sia voluto un evento così traumatico e angosciante per chi lo ha vissuto, per fornire la occasione ai soliti noti di mettersi in evidenza. Mi chiedo se il famoso critico d’arte che molte volte è sceso nei vani seminterrati di San Lorenzo in Doliolo per ammirare le monocromie dei Salimbeni, abbia mai lanciato una occhiata distratta al Cristo pantocratore quasi evanescente o alla figura di monaco dipinti sulla vela della prima aula, tanto per parlare di misconosciuti capolavori Basiliani.  Spero comunque che di fronte all’emergenza di un passato che sta per scomparire, questi riconoscimenti tardivi servano almeno a salvare l’ancora salvabile, a cominciare da San Giorgio all’Isola a Montemonaco e a Sant’Ugo di Montegranaro tanto per citare due preziosissime gocce nel mare della nostra cultura materiale. Nel titolo del mio saggio più recente su Le Marche, scritto e pubblicato in largo anticipo sui sismi, ho messo la frase “un patrimonio da rivalutare”. Chissà se questo saggio non possa servire da spunto per riconsiderare il non valore della storia farloccata, a favore di una ricerca concretamente scientifica per la quale io non ho risorse per intraprenderla, anche se saprei benissimo cosa e come fare e mi limito a pensarlo.

Medardo Arduino

03 gennaio 2017

 

 

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