Migrazioni, emigranti e toponimi

Per parlare di questo argomento prendo spunto da una conversazione epistolare con un appassionato di storia antica, che ha letto, legge e poi mi propone, come contraltare delle mie tesi, i rugginosi paradigmi di ferro della storia ufficiale sui toponimi e sui viaggi nell’alto medioevo. È facile osservare come le situazioni storiche che si sono venute a creare dalla preistoria a oggi a riguardo dei movimenti di piccoli o grandi gruppi di persone da una regione a un’altra o da un continente all’altro, seguano tutte, da che mondo è mondo, la stessa regola base. Ci sono due tipi di migrazioni o spostamenti, dettati entrambi dalla necessità di nuove e più favorevoli situazioni in aree di differente antropizzazione e cultura. Conosciamo bene la prima, credo, perché tutti abbiamo un parente ascendente, più o meno lontano che è emigrato in uno dei nuovi continenti offrendo le sue braccia a qualche datore di lavoro locale, ma questa non è il caso che tratto qui. Vi parlo invece di quelle migrazioni, intraprese sempre per raggiungere una miglior condizione personale, di persone appartenenti ai livelli alti della società, da quella preistorica a quella moderna. In questi casi si tratta di migrazioni politicamente ed economicamente pianificate dal potere del paese d’origine e dette dagli storici “colonizzazione”.

Se andiamo ad analizzare i contesti sociali dei grandi movimenti dei colonizzatori o dei “conquistatori” abbiamo alla base l’eccedenza di popolazione e come conseguenza la carenza di risorse primarie e del sottosuolo che si crea nel paese d’origine. Restringendo l’intervallo cronologico di questa disamina, mi occuperò di un particolare aspetto degli spostamenti che avvengono nell’alto medioevo e dei fenomeni e delle ambiguità o delle opportunità per farloccare la storia che ne sono derivate, ovvero il fenomeno della toponomastica dei nuovi insediamenti. Consideriamo la situazione sia socioeconomica che del popolamento dell’Europa altomedievale. Tutti gli storici transalpini e di questi cito il Duby come maggior testimonial quando scrive che era un territorio nel quale le popolazioni nomadi si muovevano in solitudine in un mondo inselvatichito, poverissimo e assediato dalla fame.

Territori quindi poco popolati e che pertanto offrono grandi possibilità a chi, conoscendo le pratiche agricole e dell’allevamento stanziale, è in grado di sfruttarne le risorse naturali (parlo dell’Europa continentale in genere). In quel periodo, nonostante le tragedie indotte dallo tzunami di Creta del 365 d.c. e gli atti di sciacallaggio che funestarono lo Stivale, privato per più generazioni dei rifornimenti alimentari dal nord Africa, l’Italia è ben antropizzata (in rapporto alle densità abitative dell’epoca chiaramente) e quando c’è sufficiente benessere in una comunità avviene che, della ventina di gravidanze di una donna con una vita normale, sopravvivano almeno la metà dei nati, quindi si assiste a un veloce sovrappopolamento. Nelle zone sovrappopolate non sono tutti e solo poveracci, ci sono anche i rampolli delle grandi famiglie dell’oligarchia militare (dei Franchi a esempio).

Per questi il richiamo ai territori occupati con bassissima densità da popolazioni migranti dedite alla pastorizia, come scrive Tacito a proposito della Gallia Germanica, è ovviamente forte; tale da spingere a organizzare campagne di assoggettamento dei territori e dei loro occupanti, ma soprattutto a volgere lo sfruttamento dei territori dalla pastorizia ad attività in prevalenza agricole perciò stanziali. Chi non ha idee chiare su cosa succede quando un “Dominus Loci” con il suo manipolo di armati e contadini prende possesso di un nuovo territorio, può dare una scorsa a cosa avvenne nell’America del nord e alle storie degli indiani e dei coloni, ma soprattutto ai nomi dei nuovi insediamenti che replicano quello del paese d’origine. Questi toponimi, a partire da Nuova Amsterdam (oggi New York), divenuta la città più famosa del mondo in concorrenza con Roma e Parigi, ricordano il paese d’origine del nucleo fondatore del nuovo insediamento. Questo stesso fenomeno si verifica, più o meno a partire dal VI sec d.C. anche nella nostra Europa: a migrare  sono  i Signori ovvero  i militari di professione, che partono per ricolonizzare gli ex territori romani, con i loro manipoli formando nuovi insediamenti rurali (i centri coloniali romani generalmente sedi di mercato regionale erano già gestiti da esponenti diretti del potere centrale cioè i fedeli più vicini ai “maggiori signori” Franchi e poi dai vassalli del re). Ho provato a dimostrare, credo con successo non avendo ricevuto contestazioni di merito ma solo l’accusa di aver scritto un romanzo che si vende nei supermercati (sic!), che i dominatori dell’alto medioevo, i Carolingi sono, secondo me, Franchi di origine Pupuni ovvero Picena, che i Romani identificavano come gli uomini adoratori del dio Marte Pico chiamandoli Picentes (cfr Le Marche, le terre dei Piceni e dei Salii un patrimonio da rivalutare). Si muovono perciò dalla Francia Salica Picena, parte delle attuali Marche e dai territori che già da diverse generazioni i Franchi controllavano al di qua della corona alpina, occupati dalle popolazioni Italico Liguri: i Galli Cisalpini. Nell’arco di almeno tre secoli, gli insediamenti di questi nuclei di Dòmini, poi Conti dell’impero carolingio, si moltiplicarono in particolare nella Gallia occidentale, favoriti dal fatto che già da un millennio gli Italici erano presenti e controllavano i traffici da e per le zone metallifere del nord (cfr Le Marche ibidem).

Possiamo perciò trovare nomi di villaggi e città di origine alto picena o romana del nostro territorio, replicati nelle attuali Francia e Germania. I nomi erano ovviamente nella lingua dei dominatori, ovvero quella forma evoluta di lingua Italica che oggi chiamiamo Latino a causa del predomino politico della Roma imperiale. Questi toponimi non sono moltissimi e questo fatto ha consentito ai filologi e storiografi ottocenteschi, per qualche dozzina di toponimi replicati, di fare d’ogni erba un fascio e di “germanizzare” la localizzazione di circa 2.000 toponimi latini che non hanno riscontri altomedioevali in Germania (lo scrive Eribert Illig) ma che compaiono nei documenti altomedioevali. Da queste non corrette interpretazioni, scritte in ossequio alla storia modificata per la ragion di stato Bismarckiana e per il “grandeur” nazionalistico dell’ottocento francese, gli storiografi transalpini, oltre a tradurre con estrema libertà alcuni passi dei cronisti, fanno svolgere in centro Europa eventi e situazioni altrimenti italiane. Così è nata l’incongruente storia che conosciamo che è stata accettata per un paio di secoli e ancora oggi è difesa a oltranza. Il toponimo più significativo lo segnala Notker di Sangallo, che parla della “nova Francia” (neotoponimo dato dagli alleati marchigiani di Ludwig il Germanico all’indomani dell’assegnazione a loro di un vasto territorio in terra germanica per l’appoggio ricevuto nella “guerra civile” contro Carlo e Lotario).

Questo territorio è chiamato Nuova Francia perché (scriverà sempre il Notker nella vita di Carlomagno), esiste contemporaneamente una Francia Antica che ovviamente l’autore nel X sec. non sente il bisogno di localizzare in quanto tutti sapevano dov’era, mentre precisa la localizzazione di quella nuova. Queste notazioni del monaco di Sangallo hanno creato forte imbarazzo fra gli storici germanici che non hanno fornito alcuna spiegazione tranne un improbabile Main Franken e Rehin Franken, oppure vaghi riferimenti alle glosse di Austria e Neustria che nessun storiografo ufficiale ha mai voluto o potuto localizzare con certezza (§. Francos, la storia da riscrivere). Se i filologi germanici riescono a trasformare nel villaggio di Mayer il lemma “matriacense” che nel diritto romano significa “matrilineare” in riferimento alla trasmissione ereditaria di beni, figuriamoci cosa non hanno fatto con i toponimi ripetuti. Su questi non mi dilungo, ma porto come esempio il farlocco della ubicazione forzata del micro toponimo “paternum”(dove si incontrano Carlo Magno e papa Leone) a Paderborn, in Germania, anche se sugli annali di Eginardo è scritto che questo luogo possiede già un nome in basso latino cioè “Padrabrunno” (toponimo che contiene la componente germaniconorrena “brum” cui l’Allevi dà il significato di villaggio fortificato). Talvolta ai filologi germanici basta la coincidenza della prima lettera per “tradurre” dal latino al germanico il nome di un luogo come avviene a esempio con “Carisiacun” che diventa Carlsruhe per taluni e Quiertzy sur Oise per talaltri, quando il Piemonte offre gratis un Carisio di origine romana.

Dannatamente forzoso appare l’origine di Mogontiacum, Monza, per cui si vuole che mercenari romani monzesi, tornati da una spedizione a Mainz rinominino in quel modo il loro paese di origine anziché per logica il contrario. Se poi il microtoponimo Villapinta (sito in Colbuccaro) diventa Villepinte nel banlieu parigino, non ci si deve stupire, ma last but not least cosa non deve essere fatto e gli storiografi transalpini lo hanno fatto a profusione, è il riferire ai nuovi siti fatti e cose riferibili agli originali, ma attenti… il rischio è biunivoco: non si deve incorrere nell’errore opposto e cioè quello di mettere con leggerezza qualunque toponimo transalpino in Italia, basandosi solo su discutibili assonanze o sul fatto che inizino con la stessa lettera, senza che nel luogo ci siano “elementi di cultura materiale” quale indiscutibile testimonianza che non si può farloccare, a giustificare le ipotesi storiche a riguardo.

Medardo Arduino

20 dicembre 2016 

 

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