L’antico territorio di Montolmo

È affascinante sapere come potesse essere il territorio di Montolmo (Corridonia) nei remoti periodi dell’alto medioevo: piccoli borghi di capanne, pievi, chiese, conventi, fortificazioni in legno e terrapieni (chiamarli castelli sarebbe davvero troppo), il tutto immerso in una natura ancora in parte selvaggia, con boschi, radure, irti pendii e strade che spesso erano poco più che sentieri. Il territorio di Montolmo si presentava con notevoli asperità che oggi sono poco visibili per i livellamenti intervenuti e le strade lastricate. A esempio, da un’attenta osservazione non può sfuggire il grande dislivello tra via Garibaldi e la sottostante via Ciaffoni e la ripida via di accesso attraverso Porta San Donato Vecchia. Ricordo questa porta a sesto acuto prima del restauro avvenuto una ventina di anni or sono: era ancora visibile il segno lasciato dal portone di legno sul muro. Pensare che a distanza di molti secoli un oggetto inanimato e scomparso avesse lasciato una traccia, un’ombra, su di un muro, mi ha sempre affascinato. Altro esempio è dato dalle differenti altezze tra via Matteotti, la sottostante via Procaccini e via Trincea delle Frasche dov’è il muro di cinta detto delle Murétte crollato una decina di anni or sono; da lì la collina degradava, almeno all’inizio, in modo abbastanza ripido non essendo stata ancora costruita la circonvallazione di via Trento risalente ai primi decenni dell’800. Del resto da via Trincea delle Frasche basta porsi sotto lu Monderò (montagnetta) o salire le vicine scalette a lato delle Case Popolari che portano in via Mollari e al piazzale Camillo Lauri, per rendersi conto del notevole dislivello esistente. A Corridonia si ricorda un altro Monderò presente nel terziere San Giovanni, e cioè il piazzale sottostante all’ex Mercato delle Erbe costruito solo negli anni ‘30 dello scorso secolo in stile razionalista. Il piazzale sovrastato dallu Monderò  veniva chiamato “Monderò bassu” per distinguerlo dall’altro (piazzale Camillo Lauri), detto anche “Monderò atu”. L’originale Mercato era a un solo livello e non presentava i locali seminterrati ricavati negli anni ’80 con lo sbancamento de “lu Monderò”. Inoltre va ricordato che la zona pianeggiante dei Giardini Pubblici non esisteva, fu costituita con il materiale di scavo risultante dalla costruzione della Piazza Filippo Corridoni inaugurata nel 1936: quindi l’accesso verso Porta Trieste, l’antica Porta Sejano, risultava molto ripido e possibile solo attraverso l’unica strada esistente. Tra la Portarella (Porta Romana) e l’ex mattatoio (convento dei Cappuccini Nuovi) vi era un discreto avvallamento che è stato riempito con materiali di riporto con la costruzione di viale Montolmo.

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I piccoli insediamenti all’interno del territorio dovevano essere stati molti e, come accadeva spesso nel medioevo, con giurisdizioni diverse. Di particolare interesse è la Pieve di San Donato di cui oggi rimangono nel complesso dell’ex ospedale civile solo la  cripta e l’abside. Opera del Valadier, all’interno l’ex ospedale è stato completamente distrutto per ricavare maggiori spazi per la Casa di Riposo cittadina che oggi ospita: ricordo ancora con piacere la pregevole entrata con le due rampe di scale che si univano in cima in un ballatoio. Lo stesso fatto che San Donato fosse denominata Pieve ci dice che si trattava di una chiesa rurale e inoltre la dedica a un santo molto venerato dai Longobardi colloca la sua fondazione addirittura verso l’VIII secolo. Le prime fonti scritte sulla chiesa, che dell’impianto originale nulla conserva se non forse la cripta ampiamente rimaneggiata e l’abside, risalgono comunque solo al 1066: la chiesa nei secoli ha subito molte trasformazioni, fino a essere completamente distrutta per utilizzarne i mattoni (all’epoca costosissimi) per la ricostruzione e l’ampliamento della vecchia chiesa gotico romanica di San Pietro, a cui fu aggiunta prima la titolazione a San  Paolo, e infine a San Donato, per calmare i fedeli della distrutta chiesa di San Donato che per una cinquantina di anni se le davano di santa ragione con i parrocchiani di San Pietro. Il Valadier di danni per svecchiare la città ne ha fatti parecchi. Come la ricostruzione di Porta Romana, detta  la portarella, da cui passò Francesco Sforza per conquistare e mettere a sacco Montolmo nel 1433. Il Valadier demolì l’antica porta merlata con antiporta costruita dallo Sforza e fece danni anche alla porta di San Donato, eliminandone la torre a difesa. Come era Montolmo a quei tempi lo si vede in un dipinto dei primi del XVI secolo nella pinacoteca cittadina. Evidentemente è la mania dei cittadini di demolire per svecchiare la città, distruggendone così la memoria storica. Altro villaggio scomparso di cui ci resta traccia nel vecchio nome di Porta Trieste (Porta Sejano), è quello della Curtis de Sejano. Si sarebbe dovuto trovare presumibilmente nei pressi dell’odierna Villa Fermani e Sejano dovrebbe esserne stato il signore feudale: da notare che nei pressi della Villa Fermani esiste una contrada chiamata Castellano. I “castelli” di queste antiche curtis presentavano scarse opere in muratura e principalmente palizzate in legno e fossati che sfruttavano le asperità del territorio. Gli stessi signori, spesso piccoli vassalli di signori di poco conto, conducevano una vita dura e piena di stenti il che ci fa riflettere di come potesse essere stata quella dei loro contadini soggetti alla servitù della gleba. Mi piace pensare questo mondo, anche se ambientato qualche secolo dopo e niente affatto storico, come lo sgangherato medioevo del film L’armata Brancaleone, con una umanità viva, piena di disperati, cialtroni, malati, cavalieri, mistici e peccatori, un medioevo seppur violento e crudele, in fondo poetico e accattivante.

15 dicembre 2016

 

 

 

 

 

 

 

 

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