Dopo la metà degli anni ’40, inizio anni ’50, scoppiò prima a Civitanova poi a Porto Recanati e Porto Potenza Picena la “smania della villeggiatura”. Prima della guerra solo i nobili avevano le ville o i casini di caccia per le vacanze vicino al mare. Classica la villa dei conti Connestabile della Staffa di Perugia che, costruita in riva al mare a Porto Potenza Picena, è diventata, per loro concessione, prima Istituto Elioterapico per la cura della tubercolosi ossea, poi, con adattamenti, Istituto Santo Stefano. Per i “comuni mortali” la villeggiatura (senza… villa) aveva inizio durante le feste di Pasqua. La famiglia benestante di Macerata o dell’interno trascorreva una giornata al mare per scegliere con accortezza, vagliando prezzi e struttura della casa, l’appartamento per la vacanza al mare. Si stipulava il contratto verbale e il capo famiglia versava la caparra, un modesto acconto che siglava il contratto e in caso di inadempienza restava al locatore. La mattinata si concludeva con una solenne mangiata di pesce fresco. Dopo il pranzo i ragazzini venivano portati a razzolare sulla spiaggia e nel tardo pomeriggio si tornava a casa con la certezza di aver fatto il miglior affare della vita. Quale mese scegliere per la villeggiatura? Beh, era un po’ come i milanesi per Milan e Inter e i torinesi per Juventus e Torino. C’erano le due fazioni: i lugliesi o lugliani e gli agostesi o agostani. Ognuno era più che certo che il suo mese fosse il migliore per vari e tutti validi motivi. Poi, negli anni successivi, il senso pratico fece sì che luglio diventasse il mese delle famiglie con i figli più piccoli, liberi da impegni scolastici, e agosto il mese per le famiglie con i ragazzi impegnati negli esami delle scuole superiori. Comunque fosse l’inizio del mese aveva lo stesso cerimoniale. L’auto, prima la “Balilla” poi la “Millecento”, era così organizzata: all’interno la famiglia con i pacchetti più piccoli che, con l’eccezione del posto di guida, erano messi anche addosso agli occupanti; sopra, sul portapacchi montato per l’occasione, due sdraie in legno (una per la mamma e l’altra per il babbo che restava senza se c’era anche la nonna), l’ombrellone, vari scatoloni con le derrate alimentari acquistate dal negoziante di fiducia o dal contadino amico. Il carico era completato dal… bidè! Già, il bidè. Perché nelle modeste case dei marinai, all’inizio degli anni ’40, tale “lusso” non c’era e le “signore ricche” per villeggiare se lo portavano da casa. Era un treppiede di ferro alto 50 cm. con una bacinella smaltata, rotonda da una parte e ovale dall’altra. Questo oggetto era l’equivalente dell’odierno cellulare: averlo significava essere una villeggiante “in”, non averlo… “out”. Il tutto era ben legato con corde robuste e poi coperto con il classico “telo da tenda”, impermeabile per proteggere il carico da eventuali e improvvisi acquazzoni. Naturalmente gli incidenti per scioglimento delle funi o per ribaltamento del carico a causa dello sganciamento del portapacchi erano abbastanza frequenti. Rimase famoso quello accaduto a un fattore di Macerata. Costui, sistemato il carico, uscendo dalla città andò a comprare una trentina di uova fresche da un contadino. Per non farle rompere le incartò ben bene, a una a una con carta di giornale, e le ripose in una robusta scatola di cartone che poi collocò sul davanti del portabagagli, in uno spazio “sicuro” creato appositamente. Come giunse a Civitanova, avendo preso casa sul tratto di mare a nord, si infilò sotto il ponte del Castellaro, che allora era molto più basso di oggi, e non tenendo in conto l’altezza del carico colpì, proprio con la famosa scatola di uova, il ponte. L’intero portabagagli cadde fragorosamente a terra dietro la macchina! La storia della “frittata del fattore” fece presto il giro di tutta la città allietando la permanenza dei villeggianti.
Cesare Angeletti
27 novembre 2016