Se il grande pensatore e filosofo Blaise Pascal (1623-1662) uscisse dalla tomba e cominciasse a leggere i giornali o a navigare in internet (non dimentichiamo che inventò la prima calcolatrice meccanica), rimarrebbe davvero sbalordito che a distanza di cinque secoli la teoria “Casuistica” dei gesuiti, che lui aveva tanto combattuto, fosse diventata la dottrina ufficiosa (o ufficiale) della Chiesa Cattolica Romana. Prenderebbe allora il suo tablet e invierebbe prontamente una email al Santo Padre con oggetto: “Diciannovesima lettera a un provinciale”. È la vittoria dei gesuiti, come afferma anche Massimo Cacciari in un articolo de La Stampa dell’ottobre del 2015, anche se Cacciari ne parla per darne un significato di svolta positivo. In Vaticano nessuno si sogna di chiamare con il proprio nome la dottrina Casuistica: sarebbe troppo all’antica citare una teoria morale del XVII colo per una Chiesa che s’ispira tanto al futuro! Questa dottrina morale fu predicata durante la Controriforma principalmente dalla Compagnia di Gesù. Si scatenò ben presto una aspra polemica per le accuse di lassismo ai gesuiti arrivando a diverse condanne papali. La dottrina è complessa ma andiamo alla questione principale. Essa esamina i casi di coscienza quando vi è un dubbio tra la propria coscienza e la norma morale. Il problema grave che sorse fu che i gesuiti applicavano una interpretazione misericordiosa verso le debolezze umane favorendo una “morale rilassata” in cui si giustificava praticamente qualsiasi peccato. Si argomentava che fosse sempre meglio un cattivo cristiano che un ateo senza Dio, andando a sancire un pericoloso principio: “La libertà di coscienza è superiore alla legge morale”. Preciso che i termini che ho usato, debolezze umane e misericordiosa, sono gli stessi che usavano i gesuiti del ‘600 e che sono uguali a quelli che la Chiesa di oggi usa. Un caso?
14 settembre 2016