È pensiero comune che sulla “Crocifissione” di Monte San Giusto di Lorenzo Lotto si sia detto e scritto tutto e di più, essendo da tempo riconosciuta come uno dei massimi capolavori del grande artista veneto. Ma, posto che di un’opera d’arte di valore universale, quale essa è, si possa stabilire un termine e “un di più” oltre il quale non ci sia altro da dire (personalmente sono convinto del contrario); nella fattispecie, poi, esistono interrogativi e perplessità tali da non lasciare indifferenti studiosi contemporanei e appassionati di storia artistica. Alcuni esempi: quale sia stato l’intento dell’opera e il suo messaggio recondito; la data incerta di esecuzione; il perché della firma enigmatica che vi appare; infine, quali ragioni e quale potere esercitato sull’artista possano aver fatto sì che per un’opera di tale portata si sia scelta una chiesa di modesto valore architettonico, come Santa Maria in Telusiano, e soprattutto, un sito geograficamente e politicamente ‘periferico’ quale poteva esser considerato Monte San Giusto nel terzo decennio del Cinquecento. Giulio Angelucci, critico e storico di arte antica e contemporanea, già docente all’Accademia di BB AA di Macerata, da anni impegnato a studiare e valorizzare, tra l’altro, gli aspetti artistici e storici monsangiustesi (ricordiamo l’importante convegno e le due grandi mostre di incisioni da lui curate per il Centro Alessandro Maggioni di Monte San Giusto nel 1982, e altre pubblicazioni di quegli anni sul vescovo Bonafede) si è fatto prendere da questi e da altri interrogativi sino al punto di scriverci un libro straordinariamente intrigante e fornito di notizie sotto un profilo storico, intitolato “Ad personam – Lorenzo Lotto, Nicolò Bonafede e la Crocifissione di M.S. Giusto” edito in bella veste dalla Liberilibri, Editrice maceratese nota a livello nazionale. Duecento e più pagine riccamente illustrate sul Capolavoro il cui “incontro”, cito dalla introduzione di Angelucci, “Costituisce sempre un’esperienza d’intensità inattesa: per il rapporto dimensionale tra il formato della tela e il modesto involucro architettonico in cui è custodita, per la decorosa semplicità dell’ambiente nel quale l’opera campeggia maestosa nella sua cornice originale, per la forza con cui il suo messaggio di nobile gravità si impone al visitatore”.
Un’emozionante impressione, quella che ne deriva, di fede e di alta tragicità, che giunge a qualsiasi osservatore, a prescindere dalla sua competenza artistica, e quali che siano le sue convinzioni religiose. Lorenzo Lotto vi si conferma uomo di solida fede, e formidabile narratore, regista sapientissimo nello scegliere personaggi e affidare le parti e soprattutto nel saper cogliere gli aspetti umani in un confronto shoccante con la divinità e il trascendente. Chi non ricorda, a tal proposito, la sfuggente ed enigmatica presenza del gatto nella Annunciazione di Recanati? Nel nostro caso una buona parte del libro è dedicata alla figura del committente, il vescovo Nicolò Bonafede, che non si affaccia dal bordo della tela come un intruso e in dimensioni modeste, come in altre opere eseguite “con dedica” nella pittura coeva, ma personaggio tutt’altro che insignificante, in grado di aggiungere dignità e autorevolezza all’opera stessa. Sul suo potere e sul suo peso storico Monaldo Leopardi stesso si sentì sollecitato a scrivere un’opera a lui dedicata: Vita di Monsignor Niccolò Bonafede. Ma quali furono le ragioni che portarono il vescovo a incaricare per l’opera un pittore all’epoca non ancora riconosciuto nella dimensione di genialità successivamente attribuitagli? E quali le affinità elettive che suggerirono a entrambi la scelta? Tanti gli interrogativi che Angelucci si impegna a sciogliere con la insindacabilità dei documenti e con argomentazioni assolutamente obiettive e inedite. Un libro da leggere e gustare, interessante nei contenuti, illustrato con dovizia di particolari e raffronti con opere dello stesso genere e ben scritto, in una forma non rigidamente accademica”, in grado di offrirsi a qualsiasi lettore.
31 agosto 2016