A proposito d’improperi, c’era una volta un contadino che, arrabbiatissimo con il somaro testardo, gli urlò: “Che te pija ‘n gorbu siccu!” (Possa tu morire d’un colpo apoplettico). Il somaro, al grido, morì stecchito. Il contadino scoppiò a piangere disperato. Un suo amico, presente, gli disse: “Che vai cercando? Sei tu che gli hai augurato la morte!”. Il contadino, tra i singhiozzi, rispose: “Io me dispero solo perché ‘n gorbu cuscì bbonu l’ho sprecatu pe’ lu somaru… anziché pe’ lu patrò!” (Il padrone del terreno di cui lui era mezzadro). In genere, però, l’invio di “gorbi” era usato in senso positivo, a mo’ di complimento. Infatti, quando si incontravano due amici era normale dirsi: “Che te pija ‘n gorbu! Quanto stai ve’!” (che ti prenda un colpo, quanto stai bene). Raramente i nostri nonni usavano improperi contro le persone e quasi mai contro gli animali. Magari se la prendevano con le cose e si preferiva colpire un oggetto prezioso (quale più raro, a quel tempo, delle scarpe quando se ne possedevano un solo paio…). Quindi la cattiveria, con decisione, evocava il fulmine affinché privasse l’altro delle scarpe e c’era sempre la speranza che l’antagonista prendesse paura da tale maleficio!
Cisirino
11 agosto 2016