Metafisica del paesaggio

Una mostra importante, per nomi degli artisti partecipanti e per il suo significato, quella intitolata “Metafisica del paesaggio”, organizzata nella sala di arte contemporanea di Palazzo Buonaccorsi e curata dall’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Macerata, che l’hanno degnamente corredata di un bel catalogo. “Abbiamo voluto ricreare il giusto equilibrio tra il paesaggio e il vivere quotidiano dell’uomo – ha scritto l’architetto Enzo Fusari – partendo dalla Metafisica del paesaggio  dove  pittori, incisori e fotografi hanno saputo rappresentare-interpretare le bellezze che ci circondano”. Il concetto viene allargato dal vicepresidente Sauro Pennesi per il quale la mostra testimonia il modo in cui l’Ordine degli Architetti intende svolgere una presenza attiva sul territorio maceratese, onde attivare una discussione su architettura e paesaggio. Il catalogo vede l’introduzione del professor Roberto Cresti, docente di Storia dell’Arte Contemporanea all’Università di Macerata, che presenta gli artisti. L’apertura è per Giuseppe Mainini, un campione della veduta sia urbana che naturale, cosicché fra Macerata e il suo circondario non è quasi soluzione di continuità e le proporzioni, nel loro naturalismo apparente, sono poste in un ordine intimamente ‘costruito’, che include, col medesimo peso, l’abside di San Giuliano e un’arnia delle api. Lo stesso dicasi per i corpi di borghesi e contadini nei rispettivi ambienti. Ovunque il mite occhio lenticolare di Mainini sa rappresentare il soggetto e da esso astrarre senza concedere troppo all’uno come all’altro ufficio, cogliendo particolari minutissimi come valori frazionari che fanno capo a un intero di magica trasparenza. Altre trasparenze, non meno stabili e sottili, sono proprie del fotografo Renato Gatta, capace di rendere anche i climi stagionali con costante leggerezza di effetti, si tratti di brume, di neve o di  riflessi di  sole;  e se nella pittura contemporanea l’attrazione per il paesaggio permane e ha sempre legami e debiti con la fotografia, nel suo caso il rapporto è rovesciato e le pendenze saldate con una inquadratura ottenuta quasi per velature. Francesco Roviello è uno scultore che ha alle spalle un lungo percorso creativo. La stele si presta bene allo sviluppo della sua poetica e in essa pare di vedere, in estrema sintesi, la casa rurale, l’albero e persino il monte, come archetipi di una ascesa al cielo associata alla catena degli Appennini, che sono anche il riferimento delle foto di Sandro Polzinetti,  che  appare come una sorta di cronista empatico della zona più alta dei Monti Sibillini, ove si trova la vetta che dà loro il nome e il Lago di Pilato. Con i mezzi della pittura le stesse suggestioni appaiono nei dipinti di Ubaldo Bartolini, che nella luce hanno il loro motivo conduttore. C’è una inquietudine nei suoi paesaggi risolta con un’accensione di chiarezza verticale, con un bagliore che è il principio, o la fine, accecante di tutte le cose. Analoga inquietudine si avverte in Riccardo Piccardoni, nei suoi paesaggi appare come una ostruzione della vista o una canalizzazione in fatali condotte di cemento armato, in un contesto comunque claustrofobico. Non stupisce così che l’occupazione industriale della natura possa sortire effetti uguali e contrari nella pittura di Carlo Iacomucci, ove la nostalgia per la buona terra si sposa alla coscienza dell’impossibilità di un effettivo ritorno a essa. Il paesaggio immaginato da Paolo Gubinelli è più orizzontale, eppure invalicabile, ancorché ridotto allo stato quasi anodino. Infine c’è Arnoldo Ciarrocchi, uno tra i pittori e gl’incisori marchigiani più noti del ‘900, che, citando Carrieri, ha in ciascuno dei  suoi fogli un sottile diffuso pigolio, il nitore di certi grilli mattinieri che ho sentito nella campagna marchigiana. Naturalmente il catalogo, edito da Edizioni Simple, è corredato dalle immagini delle opere, splendide, dei nove artisti per cui vale la pena di inserirlo nella propria biblioteca.

11 luglio 2016


 

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