Stimatissimo Direttore…

Al Direttore de La rucola.

Stimatissimo Direttore,

che a Macerata e dintorni si sarebbe letta una lettera postuma nientemeno che di Leopardi, era cosa impensabile per lo stesso autore. E lo straordinario è dato, però, non tanto dalla lettera e da chi l’ha scritta, quanto piuttosto dall’aver fatto sapere, per il tramite di una rara pubblica-zione mensile, cose di Macerata ben diverse da come prima si pensava che fossero. Incoraggiato da quanto accaduto, io, Leopardi buonanima (ora posso dirlo!), scrivo di nuovo non più al signor Sindaco ma al Direttore di questa benemerita rivista. E lo fo innanzitutto per ringraziarlo senza fine della benigna disposizione dimostrata in favor mio; e poi per provare (ricorrendo di nuovo agli effetti della sua generosità) a far circolare tra la gente del Maceratese quest’altra novità: che io sono morto non da ateo e miscredente, come da tutti ritenuto, ma da buon cristiano e cattolico. Notizia, questa, sempre taciuta da chiunque parli di me, perché dire quello che tutti tacciono è atto di coraggio, che raramente si apprezza e si perdona. Ecco perché, per far sapere, nonostante la mia ritenutezza, ciò che mi sta veramente a cuore, mi rivolgo alla S. V. con fiducia. L’impulso a scrivere m’è divenuto irrefrenabile dopo aver visto come finisce quel film d’incontro popolare “Il giovane favoloso”: quel finale contribuisce a far pensare e a credere a un Leopardi che, in fin di vita, mormora parole di versi scritti ne La ginestra. Ma questa fine sarebbe, signor Direttore, la notizia più… “favolosa”, cioè più inventata che si possa dare di me. Di scene false, dozzinali alcune (in ossequio a uno squallido verismo per fare un po’ più d’incasso con la volgarità) e insieme con altre risibili, ce ne sono in quel film ma questa, benché all’apparenza esornativa, è la più grave e la più mormorabile di tutte. Perché la verità, su questo aspetto di notevole rilevanza culturale, è, invece, che io, sentendomi morire, feci venire il prete al mio capezzale e presi il Viatico. Un gesto, questo,quando non occultato o negato da pochissimi, mai da nessuno dato per sicuro. Della mia fine non si è detto, né mai si dice, tutto quello che si sa ma solo quello che si preferisce render noto e che non è. Perché, a riferirla come fu, veduta la qualità corrente dei giudizi, pare che faccia stomaco a molti, se non a tutti. Ma si dirà  pure:  questa  imperdonabile novità,  perché  darsi da fare a metterla in giro? Che rilevanza ha o dovrebbe avere? Questa, si risponde: se la notizia è vera, allora chi condivide il pensiero di Leopardi dovrebbe sapere e tener conto che Lui, in un momento decisivo e con un “gesto” rivelatore, mostrò di non ritenere più per vero e per buono tutto quello che, di essenziale, aveva scritto e praticato in precedenza; e a chi insegna e tiene conferenze, a chi vive, insomma, di Leopardi e di lui riferisce ai propri scolari ascoltatori, tutto (tutto, come l’infedele Ranieri: anche l’indecente) non dovrebbe essergli riconosciuto come onorifico né rimunerato il tacere soltanto su questo. Perché rileva, e come!, sapere e far sapere che il Leopardi, presso alla fin di sua dimora in terra, pensò ed agì assai diversamente da come prima aveva scritto ed agito. Rileva perché, ritenuto persuasore ineguagliabile, viene visto oggi dalla modernità come “icona del terzo millennio”. Obiezione: ma s’è vera e rileva, allora perché, tra la gran folla di leopardisti e leopardo latri alla Martone, non c’è chi farà sua questa novità? Risposta: perché nessuno è disposto a dire o a sentire il contrario di ciò che ha sempre detto in precedenza (nota del Direttore: quanto è vero!  faccio riferimento alla vicenda di Carlo Magno in terra di Francia, cioè nel territorio maceratese – lèggi Università). E perché sarebbe, soprattutto per quella gran folla di sopra, uno smacco trovarsi davanti un Leopardi che, dopo aver scandagliato e appreso con padronanza geniale asso-luta (da solitario, in un piccolo paesuccio ritenuto il più incolto e morto della Marca) tutto il mondo culturale classico, ebraico, illuministico e non solo, ritrovarsi un Leopardi che, pur vissuto e finito in esilio dopo aver conversato con uomini insigni, torna a seguire, nel pieno della sua maturità intellettuale, il modo di pensare e di credere propri di quella sua Marca, terra di confine. Non una invenzione clericale ma non altro che la verità è questa notizia, che vorrei fosse di pubblico dominio.  Perché i documenti e le testimonianze a favore di essa ci sono; e sono attendibili. Basterebbe rileggere, senza pregiudizi, l’annotazione nel Libro X dei Defunti della parrocchia di Fonseca. Atto credibilissimo, oltre che per altri, per i seguenti motivi: 1) non presenta il minimo segno d’interpolazione; 2) è suffragato dalla dichiarazione scritta d’un notaio presente alla mia morte; 3)è conforme a più di una dichiarazione dello stesso Ranieri; 4) se non vero, il parroco avrebbe corso subito il rischio di essere smentito: tutti a Napoli sapevano di me che ero un miscredente. A chi dubita di questo documento si obietta col dirgli: “Chi mal fa, mal pensa”, cioè: quello che uno è solito fare, egli pensa che lo fanno anche gli altri. Perché non è poca la dimenticanza voluta che si fa ancora su di esso, come sulla fine e le spoglie di Leopardi: sulla sua sepoltura, una delle più intricate (o intrigate?) e da farsa del mondo. Il tacere sempre e solo su questo, il non parlarne mai nemmeno per confermarne l’inattendibilità, è fortemente sospetto: si teme di affrontare un argomento scabrosissimo, sconvolgente. Perché, se vero, è contrario all’opinione universale; e quindi è motivo e cosa da evitarsi nella maniera più assoluta, perché, dando un Leopardi per convertito, si corre il rischio di ritrovarsi, alla fine, con un grande scrittore “laico” in meno. Nonostante il parere contrario o il silenzio di tutti, io torno a dire che non è affatto, stando anche ai documenti, una mera supposizione che io abbia “agonizzato” da cattolico. E quando si tace su questo parlando di religiosità del Leopardi, mi si fa torto: scrivendo paginate di nuovi saggi mai realmente “critici”,in nulla innovativi; e argomentando per ore e ore senza nemmeno mai accennare al mio ultimo gesto (la cui notizia fu subito nascosta e tale è ancora, perché capace di smentire, da sola, tutte quelle pagine e di rendere superflue quelle ore), per serio ed accademico che sia, altro non si fa che riscodellare, per bonomia o assuefazione, il solito brodetto degli elogi. Me ne dispiace – come direbbe il Cardarelli – per gli ammiratori di un Leopardi perfetto, tetragono, sempre mai riprensibile (solo il Papini ebbe l’animo di mormorarmi un po’, senza, per altro, fare un accenno, nemmeno lui, alla mia conversione, che di lui mi fece, anche in questo, fratello). Ma è bene togliere di mezzo gli equivoci e fare chiarezza: il mito non sia ritenuto più verace della cronaca. Piaccia o no, sia permesso dirlo senza farlo sembrare acrimonia né adorazione, ma soltanto storia: l’ultimo mio agire non fu di “domandare risposte” con La ginestra o Il tramonto della luna come si fa nel film, ma di chiedere e ricevere i Sacramenti. Tacere su questo contro i documenti, è voler far credere che io morìi come si dice che sempre vissi: da nichilista e miscredente, e senza il conforto finale di un aldilà. Ma, sapendo che nel tardo pomeriggio del 14 giugno 1837 io feci chiamare da Paolina il parroco, che venne e mi dette l’estrema unzione e il Viatico, allora è dal tendenzioso al disonesto il tacere di me che, nel sentirmi spegnere la vita, intuìi, al sopravvenire del buio dell’esistenza terrena, un futuro diverso dal nulla; e  pensando, grazie a Dio, di essere di stirpe fatta immortale, piegai, non renitente, il capo a principio più alto, inteso non più come di finirla, signor Direttore, col silenzio solo su questo per conservare di me solo ciò che passa per il filtro dell’ateismo? Lei può: mi dia una mano a far sì che questo finisca almeno tra la gente della mia terra natia! Perché mai, poi, si dice impossibile che io sia tornato, nella sera dell’umane cose, al mio credo di un tempo? Perché? È mia o no questa frase?: il sistema mio non si oppone, anzi favorisce la religione cristiana, che dunque è interamente vera… E quest’altra?: non può essere falsa quella rivelazione che, avendo prove di fatto, si deve ritenere per vera, perché il fatto decide, e la ragione non vi si può mai opporre, se vuole mantenersi ragionevole. E infine, gli atti sono o no più veri delle parole? Si può o no smentire, anche solo col fare (se, tra l’altro, non si ha più modo di poterlo dire), molto di quello che si è pensato e scritto? E poi, forse che mandando – ripeto – pel prete, la logica di questo mio volere non contraddiceva quella del mio precedente dire e pensare? E, dopo tutto, il mio pensare non fu un continuo mutamento, quasi al pari del mio collassante mutare biologico? Ritornando agli ultimi miei atti documentati, sia consentita quest’argomentazione indiretta, ma ritenuta calzante: i gesti sono quasi sempre frutto di pensieri; e la vita di ognuno consiste in una serie di atti, l’ultimo dei quali potrebbe chiarire, dandogli un senso nuovo, anche tutto l’insieme. Io stesso, inoltre, ricordo che poco prima di morire scrissi: “La mia propria esperienza m’insegna che il progresso dell’età, fra i tanti cangiamenti che fa nell’uomo, altera ancora notabilmente il suo sistema di filosofia”. Di questo ora traggo la conseguenza col dire che il Leopardi fu indotto a riabbracciare la sua fede cristiana dalla sua forza intellettuale giunta al suo culmine proprio nel momento di spirare. Accetti, signor Direttore, la prego, le espressioni della mia più viva gratitudine per quanto le piacerà di fare in mio vantaggio col rendere pubblica questa mia lettera. Della quale sia da lei che dai lettori, si perdoni l’orridezza dello stile per mancanza di esercizio e smania di apparire moderno. Per favorire un suo riscontro positivo cito, a conferma di quanto detto, il pensiero del Manzoni, io ritenendolo vero: “Gran segreto è la vita, e nol comprende che l’ora estrema”. Aggiungo: far rilevare questo a me moltissimo importa. E va acclamata e se ne vanti La rucola d’avermi dato la possibilità di far sapere il vero alla gente del mio paese. Vivamente rendendo grazie con tutta l’anima, vi saluta e ossequia, pregiatissimo Direttore, il vostro

firma Leopardi 

 

 

Oltre-Piedigrotta, l’8 dell’andante, festa

dell’Immacolata Concezione di Maria Vergine Santissima.

 

 

 

 

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