Il rosso fiore della violenza XXIII puntata

“Ragazzate, dice lei? Va bene, se lei ne è convinto annullo ogni precedente ordine e metto a tacere la cosa. Ma vedrà che molti genitori si ricrederanno quanto prima della innocenza dei giochi dei loro rampolli: a me dispiace soltanto che molti di loro ne piangeranno, quanto prima, la immatura scomparsa. Se lei me lo permette, vado a dare gli opportuni contrordini”. – “Vai, vai, Alberico, io sono convinto che tu questa volta ti stai sbagliando”. Dal canto suo Alberto, dopo che Katia gli riferì del pedinamento, decise di trasferire la base segreta di via Zara in altra sede logisticamente più idonea e ingiunse a tutte e due le ragazze di darsi alla clandestinità. Angela cadde in preda a un profondo sconforto, poiché non sapeva decidersi a prendere quella terribile iniziativa: abbandonare tutto il suo mondo in cui era vissuta fino ad allora. L’amore per Alberto ebbe il sopravvento, ma a fare quel passo l’aveva costretta anche la constatazione che ormai lei era compromessa al punto tale che l’unica soluzione era quella di scomparire nel nulla. Scrisse una lettera al padre: “Caro Papà, ti chiedo perdono per l’immenso dolore che sto per darti. Confesso d’esser stata io a mettere la bomba nel tuo studio. Non credermi pazza, ti prego, ti assicuro che non lo sono affatto! Sono soltanto innamorata, follemente innamorata di un uomo magnifico che ha sposato la causa della rivoluzione. Io voglio stargli vicino e dividere con lui la sofferenza e la gioia di questa pericolosa militanza. Sono convinta d’altronde che la mia decisione gioverà alla stabilità del tuo rapporto con Beatrice. Perdonami se puoi e abbraccia per me la cara Tata.” L’Avvocato fu colto da infarto acuto e per una settimana fu tra la vita e la morte. Poi superò la crisi ma la sua salute fu compromessa a tal punto che non si sarebbe mai più ripreso. La vecchia Tata, confusa e incredula, stentava a comprendere le astruse ragioni di quegli accadimenti e piangeva la scomparsa di quella ragazza come la perdita di una sua propria figlia. Il Commissario Sirtori fu informato dell’accaduto: la sua reazione fu un’esplosione di bestemmie davvero nuove e strane sulla sua bocca e la conseguenza fu che uno spesso cristallo della sua scrivania fu mandato in pezzi con un terribile pugno. Si precipitò dal Questore: “Signor Questore, a quanto pare, non s’è dovuto aspettare tanto per conoscere le conseguenze del suo ordine di chiudere le indagini sul G.L.P.. Tutti i protagonisti dell’affare, compresa la figlia dell’avvocato Barilatti, il quale tra parentesi si trova in ospedale tra la vita e la morte per un infarto, sono scomparsi nel nulla. Se lei volesse scommettere presto ne avremo notizie e che notizie! Cerchi ancora di convincermi, se ci riesce, che sono ragazzate codeste!” Il Questore era pallido e muto. Dopo avere a lungo fissato il suo interlocutore, disse: “Faccia tutto quello che può per fronteggiare la situazione, le do carta bianca e la prego di non farmi sentire più coglione di quel che sono!” – “Sai che ci faccio della tua carta bianca?” pensò il Commissario. La nuova base del G.L.P. si trovava nelle profonde cantine d’un palazzo antico disabitato della periferia della città: aveva ben tre ingressi e altrettante uscite diverse che conducevano nei locali seminterrati, adibiti a magazzini di carta straccia da un vecchio ubriacone che con quel misero commercio tentava di sbarcare il lunario. Costui era sempre in giro a raccogliere cartoni e quanto rientrava era già talmente sbronzo da non reggersi in piedi: per tutto il tempo in cui il G.L.P. agì da quella base segreta egli non s’accorse mai di niente. Il Commando era costituito da cinque persone: Alberto, Katia, Angela e altri due studenti. Era animato conti-nuamente da intensa attività. Alberto esigeva che ogni membro, senza distinzione di sesso, fosse intercambiabile all’interno del gruppo e che potesse assumere decisioni tattiche in assenza del proprio superiore. Quando fu per-suaso dell’efficienza di tutti, preparò la prima missione: attaccare la sezione del M.S.I: e farla saltare con una bomba. Per spostarsi più velocemente nel traffico caotico della città usavano moto molto potenti con targhe falsificate. A tarda sera irruppero con armi in pugno nella sede prescelta: “Che nessuno si muova, mani in alto e faccia al muro!”                                                                 

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