Celti, Etruschi, Piceni… Pupuni

 Per parlare dell’antropizzazione antica in Italia non penso certo di iniziare con l’Oreopithecus bambolii cioè l’ominide di Baccinello in Toscana, anche se dovremmo averlo ben presente quando ci prospettano che tutto e tutti siano arrivati qui da lontano. Il mio orizzonte temporale è più recente, si spinge all’indietro di circa trenta secoli per rivedere oggi, ormai lontani dal negazionismo per la ragion di stato del Papa Re, una più coerente visione della cultura delle genti centro Italiane da cui si svilupparono sia l’Impero Romano che il tentativo di ricostruirlo col Sacro Romano Impero carolingio. Questo perché, come avrò mezzo di spiegarlo a breve, la memoria delle genti Saluie dell’uno era qui ancor viva nella “terra Salica” dell’altro. Le iscrizioni evidenziano che quelli che oggi diciamo Piceni, nella loro lingua si chiamavano invece Pupuni. Esistevano già al tempo dei micenei quando questi sbarcavano sulle nostre coste, come attesta la stele di Novilara: venivano non per “colonizzare” ma semplicemente per commerciare, spingendosi anche nella pianura padana (nella terramare di Poviglio in Emilia sono evidenti i contatti commerciali con la cultura micenea (1)). Gli armatori navali non mandano le loro unità cariche di merci a zonzo per il mare cercando un qualsivoglia sbarco, gli scambi commerciali di un certo peso si producono quando esiste un mercato stabilizzato e i porti sono il naturale punto di immagazzinamento che si realizza “a bocca di mercato” e più ampio è il bacino di mercato, più capaci sono i moli e i fondaci dei porti.

Forni neoitici di Fosso Fontanaccia
Forni neoitici di Fosso Fontanaccia

La portualità protostorica marchigiana non è qui da dimostrare, oggi ben sappiamo dai reperti archeologici, che smentono improbabili fonti letterarie, che Ankon non è stata colonia dorica ma “hub terminal” adriatico delle flotte levantine prima ancora della Magna Grecia. Se la cultura micenea si colloca al tempo del faraone Tuthmosis siamo circa nel quindicesimo a.C. secolo più secolo meno. Non è lecito pensare, perché nulla lo sostiene, che prima dei Pupuni ci fosse un’altra cultura fantasma, ma è più che credibile che gli “aborigeni” abitatori delle Marche abbiano qui sviluppato la loro cultura e le loro ricchezze dall’età della pietra, (come testimoniano i recentissimi ritrovamenti di Fosso Fontanaccia a Portonovo  del  sesto  millennio a.C.),  fino  al gran momento  della metallurgia: lo dicono i musei! La lavorazione dell’acciaio e delle leghe rameose è, secondo me, il plusvalore che questo territorio detiene nei confronti dei frequentatori della Sabina e degli Abruzzi, luoghi tipicamente dediti alla pastorizia. Le concentrazioni urbane fino all’età imperiale romana, nella terra dei Pupuni sono più numerose ed estese che nel resto dell’Italia centro settentrionale. Visto che cultura e lingua scritta si sviluppano quando esiste la ricchezza di beni materiali, anche solo per questa logica, la lingua dei Pupuni si dovrebbe chiamare Piceno Italica perché interessa le ricche aree dalle Marche al Veneto, visto che beni di scambio piceni ed etruschi li ritroviamo anche esportati ben oltre le Alpi, nei celebrati  centri di cultura celtica come Halstatt e La Tène (dove a mio avviso la cultura è arrivata a dorso di mulo dall’Italia Cisalpina). L’attribuzione a un’origine Sabellica non ha riscontro nelle testimonianze di cultura materiale ed é a mio avviso opinabile. La storia vera della nostra regione e della sua koinè etnica provvisoriamente indicabile come celto-etrusco-picena, anche per l’età protostorica richiede una revisione globale e “ufficializzata” anziché emergere puntiforme nei congressi o in scritti isolati come i miei. Si dovrebbe iniziare a farlo, implementando anche e semplicemente le didascalie dei musei a favore del turismo culturale. Certo, non si rabbuino gli umanisti, qui sono venuti anche gli emigranti Greci: c’era lavoro per tutti e probabilmente buone retribuzioni. L’amico Paolo Pennelli mi ha inviato alcuni stralci di pubblicazioni sui Pupuni: Sergio Frau scrisse su Repubblica  –…Noi abbiamo un grande fantasma che ci perseguita da decenni: sull’Adriatico questo fantasma sono i Piceni. Passi avanti da allora se ne sono stati fatti assai, ma quel “fantasma” di Pallottino solo da poco ha cominciato a svelarsi: non solo gli scavi e queste mostre, ma anche un gran bel libro di Alessandro Naso appena uscito per Longanesi, “I Piceni”, materializzano ormai quel popolo a lungo evanescente, tanto che è possibile tentarne una prima carta d’identità”. (2) Adriano La Regina scrive nel saggio –Il Guerriero di Capestrano e le iscrizioni paleo sabelliche – “Questi dati [le risultanze archeologiche n.d.a.] non possono essere posti in secondo piano dall’incompatibilità formale dimostrata da A. Prosdocimi tra púpúnis e picenus, in ragione del picus (picchio) e del piquier martier delle Tavole Iguvine… L’incoerenza implica processi storici, anche di natura extra-linguistica, non ricostruibili solamente nell’ambito della morfologia lessicale. Si può immaginare, infatti, che genti le quali si identificavano nel nome púpúnis abbiano adottato come insegna etnica un picchio (picus), e che nell’interpretazione romana il loro nome sia stato alterato nella forma Piceni, in relazione alla loro insegna, per significare quelli del picchio. (3) Di questo secondo scritto evidenzio la parola immaginare perché a mio avviso il “picchio” come animale totemico è frutto di sola immaginazione e non sappiamo a chi sia venuta in mente: sui vasi bronzei dei Pupuni troneggiano il “signore dei cavalli” che è un po’ dappertutto nei musei, poi il lupo su totem (Ancona) e il cane (Colfiorito) tanto per fare esempi, manca il picchio (ndr. ci sono due volatili nel reperto belmontese – foto 3 – ma sembrano più aquile che picchi). A riguardo del piquier martier delle Tavole Iguvine, le traduzioni sono decisamente incerte e risalgono alla lettura di Luigi Lanzi: “Finalmente  par che l’espressione di Agre Tlatie Piquier Martier ci dia l’agro latino di Marte Pico” espressione che riferita ad animale totemico risulta una chiara forzatura e stiamo verificando quale significato potesse avere sul versante appenninico orientale. (4) Ciò che rimane da stabilire, ma mi è facile avanzare ipotesi, è il perché i “fantasmi Piceni” del Frau ovvero i Pupuni siano scomparsi dalle storiografie e dalla letteratura quando scritte, osservando la censura pontifi-cia, “-con l’approvazione dè superiori”: nessuno ha voluto constatare a esempio che le legioni di mercenari abitatori di questa terra (che sarà poi denominata “terra Salica”), partiti da Ancona con la spedizione dell’imperatore Traiano rimangono in Dacia (che sarà Romania) e lì, oltre a “crescere e moltiplicarsi” portano il cognome Popon, insieme con la parlata fermana che resiste ancora fra i contadini. Dalla protostoria si passa al tardo antico senza soluzione di continuità e da qui senza strappi, soprattutto nella memoria storica popolare (fors’anche nei documenti andati al rogo negli archivi curiali) fino all’alto medioevo con le gens degli Osismi, Senoni e Salii che originano dalle primeve genti Pupùnis. Fra questi i ben noti Salii sono quelli che hanno il potere e le terre nella Francia Salica Picena in età Carolingia, e il gioco (del negazionismo) è fatto e spiegato.

Medardo Arduino

18 maggio 2016 

(1) M. Cupitò –i Micenei nell’Alto Adriatico – in atti del:

Convegno per i trent’anni di ricerche nella Terramara Santa Rosa di Poviglio tra ricerca scientifica e valorizzazione – Povi-glio (RE), Centro Kaleidos, 9-10 Maggio 2014;

(2) – Il mistero dei tre guerrieri- Sergio Frau – Repubblica 29-06 – 2000 http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio;

(3) – Adriano La Regina -Il Guerriero di Capestrano e le iscrizioni paleo sabelliche – in AA.VV.- Pinna Vestinorum e il popolo dei vestini – L’erma di Bretschneider 2011;

(4) – Saggio di lingua Etrusca – Luigi Lanzi 1825.

 

 

 

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