Filippo Corridoni nasce a Pausola il 19.8.1887 e muore in guerra il 23.10.1915, sul Carso, a soli 28 anni e il suo corpo non si troverà mai più, rendendo ancor più misteriosa la figura del sindacalista rivoluzionario celebrato come Eroe della Patria. Sulle pietraie carsiche oggi campeggia un monumento, voluto da Mussolini, che è posto sulla “Trincea delle Frasche”, nome scelto da Corridoni pochi giorni prima di esservi colpito a morte, come sta a testimoniare un manoscritto ingiallito depositato in un archivio di Milano. Altri due monumenti di bronzo, a Parma (1925) e a Corridonia (1936), hanno consegnato alla storia il giovane “apostolo del lavoro” ed “eroe”.
L’incontro con Comunardo Braccialarghe
Giunto a Milano nel 1905 grazie a un diploma di perito disegnatore meccanico conseguito a Fermo, trova lavoro nei fumosi padiglioni della Miani e Silvestri (4.000 operai), dove ascolta gli infuocati e sinceri discorsi dell’anarchico maceratese Comunardo Braccialarghe (Folco Testena), che lo introduce negli ambienti sovversivi milanesi. In poco tempo diviene la figura più nota e attiva nel movimento operaio lombardo, grazie alle sue capacità d’interpretarne le condizioni e le rivendicazioni più semplici e più sincere, offrendosi interamente alla causa del proletariato.
Giudizi su di lui da Giovanni Borelli e Curzio Malaparte
Giovane coraggioso e schietto, figura adamantina ed eccezionale agitatore del movimento operaio, ispiratore di un nuovo modello di organizzazione sindacale, fa scrivere a Giovanni Borrelli: “Non conobbi mai uomo al mondo che fosse quanto il Corridoni l’antitesi consapevole di tutte le neutralità” e a Curzio Malaparte: “Ques’uomo napoleonico, invano da Giorgio Sorel auspicato in Francia, aveva in Italia preso un nome e un volto: Filippo Corridoni”.
Arrestato ed esiliato è contro la Massoneria
Viene più volte arrestato e costretto anche all’esilio per le lotte sindacali e sociali. Diventa punto di riferimento del gruppo rivoluzionario che nel sindacato combatte il riformismo della Confederazione del Lavoro in nome della assoluta autonomia del Sindacato dai partiti. Fonda un giornale antimilitarista e alcuni fogli sindacali e continua a mandare articoli al settimanale “La Provincia Maceratese”, finché anche questo rapporto s’interrompe: la redazione di questo giornale non gli pubblica un secondo articolo contro la massoneria dove Corridoni parla di un pericolo massonico per il movimento operaio e denuncia che la massoneria ha in pugno molti partiti, che i dirigenti della Confederazione, anch’essi sono in assoluta maggioranza massoni e che Bissolati, un luminare del socialismo riformista, dichiarò tondo e chiaro, che dal partito sarebbe uscito ma non dalla massoneria. Fonda con Alceste De Ambris l’Unione Sindacale Italiana (USI), alla sinistra della Confederazione Generale del Lavoro, con l’obiettivo di accentuare la lotta di classe e di spezzare il ruolo subalterno del sindacato dei lavoratori dal Partito Socialista, prefiggendosi la costruzione di un “Mondo nuovo”, attraverso l’azione diretta e il governo della società, della parte sociale allora esclusa e subalterna.
Benito Mussolini visto da Corridoni
Attorniato da pochi sindacalisti, a Milano, Corridoni deve fare i conti con una città a guida socialista e con un “Mussolini che è quasi venerato – come scrive all’amico De Ambris – Un uomo eccellente sai? Eccellente sotto tutti i rapporti. Ha una anima da asceta e tutte le qualità esterne del demagogo. Temibilissimo. Che farò? Mah! Non ho ancora un piano d’azione. Mi tengo stretto disperatamente ai miei fedeli gasisti e mi difenderò con i denti e con le unghie. Però… ma sì, spero di vincere… Io sento che Mussolini sarà il mio avversario per quanto ci leghi una forte simpatia”. E il quel 1913 Mussolini, direttore dell’ “Avanti!”, cala la sua pungente penna contro il giovane sindacalista rivoluzionario criticandone i metodi di lotta sindacale ritenuti estremistici.
Corridoni e i giovani intellettuali
Corridoni non recede dalla lotta, la città è paralizzata dallo sciopera generale, spinge decine di migliaia di lavoratori allo scontro oltre quanto il sistema tollera e Giolitti in prima persona ne ordina un pretestuoso arresto, con un telegramma diretto al Prefetto di Milano. Nonostante la repressione e la sconfitta i lavoratori restano e incrementano le file dell’Unione Sindacale Milanese guidata da Filippo Corridoni che conta oltre 17mila iscritti, mentre la locale Camera del lavoro scende a 10mila organizzati. Filippo desta attenzione e ammirazione anche negli ambienti dei giovani intellettuali (Ungaretti, Carrà, Pezzani, Viani, D’Annunzio) e ancora Curzio Malaparte scrive: “Così la prima volta che io vidi Mussolini, accanto a Corridoni e Mrinetti, io trovai che Corridoni era migliore di Mussolini. E per certe cose era vero, benché in sostanza Corridoni fosse un popolano, ma del tipo più comune di quello di Mussolini”.
La scelta interventista
Lo scoppio della prima guerra mondiale, nell’agosto del 1914, trova Corridoni in carcere per i fatti della settimana rossa ma, già nei primi giorni di settembre, a sorpresa, invia una dichiarazione alla sua organizzazione preannunciando la scelta a favore dell’intervento per soccorrere “la Francia calpestata” e “il Belgio martire”, “la Serbia agonizzante” e “l’Inghilterra minacciata”; i compagni dell’Unione Sindacale Milanese lo seguono in massa. Corridoni intravede e coniuga l’interesse nazionale, in una visione di solidarietà internazionale,nel quale parte attiva deve essere anche la componente rivoluzionaria del proletariato internazionalista e antimilitarista, in contrapposizione alla scelta neutralista del Partito Socialista e della Confederazione Sindacale del Lavoro.
La morte in trincea
Lo stesso Mussolini resta sorpreso e influenzato dalla scelta interventista di Corridoni e pochi mesi dopo rompe gl’indugi e viene espulso dal Partito Socialista. Corridoni è interventista non a parole ma con i fatti e al fronte rifiuta l’ordine del Capitano Medico di non recarsi in trincea perché ammalato e febbricitante, proprio l’ultimo giorno della sua travagliata ma nobile esistenza. Pochi giorni prima di morire scrive a un amico milanese: “Sarò sempre un Don Chisciotte del sovversivismo, ma un Hidalgo senza ingegno, pieno soltanto di fede. Morirò in una buca, contro una roccia, o nella corsa di un assalto. Ma se potrò, cadrò con la fronte verso il nemico, come per andare più avanti ancora. I principali organi d’informazione danno la notizia della morte gloriosa.
Il telegramma dei Futuristi
Fra le tante espressioni di solidarietà un telegramma dai Futuristi: “Gloria al forte e geniale interventista che con noi lottò nelle piazze per una Italia più grande, più antitradizionale, più futurista. Gloria a Corridoni che firmò le sue idee col suo sangue. Firmato: Marinetti, Boccioni, Lussu, Sant’Elia, Piatti, Sironi”.
La lettera di Mussolini alla mamma di Corridoni
Benito Mussolini scrive alla mamma del giovane sindacalista: “Egli era un nomade della vita, un pellegrino che portava nella sua bisaccia poco pane e moltissimi sogni e camminava così, nella sua tempestosa giovinezza, combattendo e prodigandosi senza chiedere nulla”.
Considerazione finale dell’autore
Mi sono chiesto più volte cosa avrebbe fatto Corridoni se non fosse morto così giovane, leggendo anche queste parole rivolte ai lavoratori milanesi: “Vestendo la divisa del soldato non facciamo né abbiamo fatto nessuna rinuncia. Questa è una tregua. Altro dovere ci chiama, altra battaglia dobbiamo combattere. La vittoria c’è già: la vittoria è sicura perché noi abbiamo sgominato il nemico interno, che voleva vendere l’Italia e gli italiani come si vendono i porci al mercato. Ora noi faremo il nostro dovere rigidamente. Ma nessuno s’illuda. Quando torneremo dal fronte vittoriosi spoglieremo la divisa del soldato, noi riprenderemo la nostra lotta di classe, con lo stesso ardore, colla stessa fede, colla quale ci batteremo domani contro il nemico della civiltà”.
Luciano Salciccia (tratto da La rucola n° 9 e n° 10 anno 1999)