Magdalo Mussio, cenni biografici
Magdalo Mussio nasce a Volterra nel 1925 e si forma a Firenze, dove termina prima gli studi di architettura all’Università e poi di scenografia all’Accademia di Belle Arti, con una tesi dal titolo I canovacci e la scenografia della Commedia dell’Arte. Si dedica per un breve periodo al teatro sia come regista che come scenografo e di li a poco rivolge il proprio interesse al disegno animato. Le sue prime esperienze sono al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma con Antonio Rubino e per la società di produzione dei fratelli Gagliardo, Corona Cinematografica, realtà particolarmente attenta alla produzione di film d’artista.
Nella seconda metà degli anni Cinquanta, si trasferisce in Canada dove avvia ricerche sperimentali per disegni d’animazione e collabora con Norman MacLaren per la National Film Boarding di Montreal, esperienza che gli consente di svolgere una intensa attività negli Stati Uniti, in Francia e in Inghilterra. Contemporaneamente esordisce nelle arti visive con la sua prima personale nel 1955 alla Galleria l’Indiano di Firenze sostenuta da Giuseppe Ungaretti, che in seguito verrà abbinata al Premio Viareggio e trasferita a Parigi. L’incontro tra l’esperienza cinematografica e quella delle arti visive favorisce la riflessione sulla relazione tra segno e poesia, tra parola e immagine, analisi fondante della ricerca verbovisiva che segna tutto il suo percorso artistico.
Al ritorno in Italia nei primi anni Sessanta, Mussio si inserisce tra i protagonisti della neoavanguardia, scrittore, poeta, editore e insegnante, aderisce al Gruppo ’63 supportando lo sconvolgimento del comune ordine linguistico per rivelare la falsità dei modelli di comunicazione imposti dal progresso della società capitalistica. In quegli anni per la Fondazione Lerici realizza diversi documentari, tra cui I ragazzi di Terezin e diventa redattore della Casa Editrice Lerici di Milano. Nel 1966 è art director del «Marcatrè. Rivista di cultura contemporanea», diretta da Eugenio Battisti – laboratorio a cui partecipano attivamente, tra gli altri, anche Germano Celant, Enrico Crispolti, Umberto Eco, Gillo Dorfles, Filiberto Menna e Edoardo Sanguinetti – e della collana Marcalibri di cui cura anche l’aspetto grafico. Ma Mussio continua a lavorare ancora per il teatro e nel 1967 realizza le scenografie del Majakovskij & C. alla rivoluzione d’Ottobre per la regia di Carlo Quartucci, in scena al Teatro Alfieri di Torino.
Il rapporto tra scrittura ed esistenza, tra la storia e la memoria, assume forma di libro e a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta Mussio pubblica volumi di scrittura visuale come il Fastidio delle Parole (Edition d’ecriture, Paris, 1968), In pratica (Lerici Editori, Milano, 1968) e Praticabile per memoria concreta (Lerici Editore, Roma, 1970). Negli stessi anni è nuovamente attivo nella Capitale dove realizza alcuni film d’animazione tra cui Reale dissoluto, Il potere del drago e Umanomeno, film animato accompagnato da musiche dei Pink Floyd che viene premiato nel 1972 con il Nastro d’Argento.
Dai primi anni Settanta si trasferisce nelle Marche dove assume la direzione artistica della casa editrice Nuovo Foglio per cui dirige la collana Altro-Altrouno e nel 1973 è redattore della rivista romana «Harck». Successivamente per le Edizioni Out of London Press dirige la collana d’arte Altro e, nel 1978, è responsabile editoriale della rivista «La città di Riga» editata da La Nuova Foglio. All’attività editoriale ma soprattutto artistica che lo porta ad esporre presso diverse gallerie, musei e istituti culturali in tutto il mondo come, ad esempio, il Finch Museum di New York, la National Gallery of Victoria di Melbourne e l’Università di Sydney, affianca per lungo tempo l’insegnamento di Tecniche della grafica e dell’incisione presso l’Accademia di Belle Arti di Macerata. Infine dopo aver vissuto per circa un trentennio nella campagna maceratese, a Pollenza, dove compone anche il suo ultimo libro, Monodico/Radure dell’essere (riedizione di un volume, Chiarevalli monodico. 1963/1986, simbolo di una ricerca trentennale), nel 2005 si stabilisce a Civitanova Alta, luogo in cui porta ancora avanti la sua ricerca artistica e dove scompare il 12 agosto del 2006.
a cura di Ilaria Tamburro
Alla ricerca della parola dimenticata
di Antonello Tolve
In tutte le fasi dell’opera di Magdalo Mussio, il rapporto tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, tra visione pratica e attenzione teorica si confonde sulla superficie di un racconto emotivo, sul solco di un infinito intrattenimento metodologico e collaborativo, sulla temperatura rovente di un dispositivo estetico che sorpassa l’esclusivo processo di trasformazione delle cose per disegnare una eterotopia cosmografica e disporre simultaneamente di un patrimonio visivo che contiene e trattiene la presenza del passato, la nostalgia del presente, la sensibilità visionaria del futuro, il freddo sapore dell’ora preumana. Guadando la storia del suo fare è possibile percepire immediatamente un flusso continuo e inarrestabile di sollecitazioni, di ricerche incrociate che oscillano tra gli archetipi dell’immaginario collettivo (tra l’originario e l’originale) e le esigenze transemiotiche di un artista la cui onnivora attività intellettuale è riuscita a costruire negli anni uno spazio espressivo, unico nel suo genere, che assorbe al suo interno la revisione degli stilemi avanguardistici, i lasciti della stagione informale, la parabola dell’atmosfera verbovisiva (e della visione multicodica) degli anni ’60 e ’70.
Dall’editoria alla grafica creativa (come non ricordare i modelli sperimentali offerti nella redazione del marcatrè, la rivista diretta da Eugenio Battisti, o gli straordinari impaginati della casa editrice La Nuova Foglio), dalla poesia alla prosa, dalla pittura alla scenografia, dal teatro alla videoanimazione, dalla scultura all’insegnamento, per giungere via via, tra il 1975 e il 1995, al felice sodalizio con Alfio Vico e Lucy Passett della Galleria Il Falconiere (dove approdano alcuni dei nomi più interessanti dell’arte – Yarrott Benz, Giosetta Fioroni, Eliseo Mattiacci, Fabio Mauri, Suzanne Santoro, Mario Schifano e Nanda Vigo ne sono esempi evidenti), l’attività interdisciplinare e sentitamente indisciplinata di Mussio, incarna l’esigenza di riflettere sulla storia delle cose, sulla leggerezza e la trasparenza della parola, sulle trame dell’archiviazione, sulla lingua del ricordo scordato, del numero dimenticato, della parola immaginata.
Uscite da una lampisteria dei sogni, da un pensiero che si sofferma sulla soglia del pensiero per leggere – del pensiero stesso – i flussi e gli innumerevoli ragionamenti del quotidiano, le immagini prodotte da Magdalo Mussio trattengono e tratteggiano la cultura di massa, la «memoria di un codice» da decifrare, il silenzio traforato dal buio della mente, il gusto alchemico della sapienza materiale, la parola ricercata e detta per caso, il «terrore della propria immagine», l’attesa atavica dei segni.
Come apparizioni su superfici sempre diverse che costituiscono una vera e propria cartografia poligrafica – cartografo amanuense della differenza è l’etichetta applicata all’artista da Alberto Signorini nel ’91 – le sue opere catturano lo spettatore e, quasi a creare una tattica di accerchiamento laterale della realtà, lo invitano in un territorio magico dove tipografia, macchina da scrivere e scrittura manuale si intersecano ad architetture impossibili, a brani poetici, a preesistenze e assenze necessarie, al sapore tiepido della cancellatura, al capriccio della ragione, allo «speciale rapporto con l’errore» del chiarevalli monodico e al difetto eccezionale.
*** Con questa mostra l’Accademia di Belle Arti di Macerata vuole ricordare l’uomo, l’amico, il docente: e, a dieci anni dalla sua scomparsa, restituire – per quanto possibile – il ritratto di un intellettuale totale della cultura italiana il cui impegno ha abbracciato i vari campi del sapere.