Abbiamo incontrato Bruno Carletti da Treia, che in diverse occasioni è andato in giro per il mondo come missionario laico, in Africa e in Paraguay.
Come le è venuta questa vocazione?
Negli anni ‘50 ero in seminario a San Severino Marche, educato dagli Stimmatini ma le vicende della vita decisero diversamente per me, dovetti interrompere gli studi e intraprendere un altro percorso. Tuttavia rimase in me il desiderio di missione, che esaudii in età di pensione.
Come accadde?
Avevo una bella amicizia con don Ugo Bosoni, missionario in Africa con gli Stimmatini. Nell’estate del 1991 venne a San Severino per un periodo di riposo e di animazione missionaria. Mentre mi raccontava tutto il bene che faceva a quelle genti si svegliò in me il desiderio assopito, tanto da chiedergli di esaudire la mia voglia di missione.
Quale fu la sua risposta?
Ancora la ricordo… con la più disarmante semplicità mi disse: si parte il 21 agosto! Nemmeno il tempo di organizzarmi ma se avessi atteso non avrei potuto realizzare il sogno di portare il mio servizio là dove ce n’era bisogno. Non sapevo come sarei stato utile, comunque avevo le idee chiare sul fatto che non lo stavo facendo per puro interesse personale e per una mera soddisfazione ma per dare aiuto, per donarmi al prossimo.
Dove ti ha portato don Ugo?
In Sud Africa, nel villaggio di Mmakau dove sono rimasto fino alla fine di gennaio del 1992. Qui gli unici bianchi sono i missionari.
Come ti hanno accolto al villaggio?
Come uno di loro, senza prevenzioni, con un calore e una familiarità che hanno sciolto il mio impaccio iniziale.
La prima esperienza che ti è rimasta impressa?
La partecipazione alla Messa la domenica successiva al mio arrivo. Le persone si erano radunate di buon ora davanti alla chiesa e i saluti che si scambiavano facevano trasparire una comunione che non era di facciata ma fondata su legami veri, su esperienze di fede comuni che affondavano le radici nel vangelo. Tutti i componenti delle famiglie, dai nonni ai nipotini, partecipavano lodando il Signore per quanto aveva concesso in quella settimana.
Sei rimasto stupito?
Sì, ma il mio era lo stupore del novellino, che guardava quei piedi scalzi, quelle vesti rattoppate mentre ammirava la compostezza e la fede che traspariva dai loro volti. Li ho sentiti come fratelli nella fede che mi stavano aiutando e riscoprire e a rinsaldare la mia fede. Quante volte ero andato a Messa con leggerezza, senza rendermi conto di cosa stavo vivendo, a cosa stavo partecipando.
Com’è il villaggio di Mmakau?
È un villaggio antico, abitato in prevalenza dagli Tswana, dove c’è in miniatura il Sud Africa per la mescolanza dei vari gruppi etnici. Poco lontano c’è la strada che divide il territorio dei bianchi da quello dei neri, anche se la politica sta lentamente eliminando tali divisioni. La gente del villaggio è molto povera e questa condizione appare dalle abitazioni: la maggior parte sono baracche di lamiera, tirate su con poca spesa. Va detto che le persone ci vivono poco perché molta parte della vita africana viene vissuta all’aperto, all’esterno della casa. Certo che quando nella stagione invernale il freddo diventa pungente qui si soffre veramente. Senza dire dell’estate, quando queste baracche diventano delle piastre infuocate.
Ti è venuto da fare il paragone con le nostre case?
Altroché! Sono immagini difficili da cancellare, paragonandole con le nostre abitazioni dove c’è di tutto e di più, dove spesso molto è superfluo.
L’incontro che ancora ti emoziona?
Uscito dalla Messa, camminando ho fatto strada con un vecchietto, abbiamo parlato in inglese, nel salutarci gli ho stretto la mano e lui mi ha detto: “Ora posso morire felice!” – “Perché mai?” gli ho chiesto. “Perché ho scambiato una stretta di mano con un bianco” Ancora oggi mi emoziono pensando a tutte le implicazioni di quella frase.
Questi cinque mesi come hanno influenzato la tua vita?
Non sono mesi passati invano. Il mio modo di vivere si è trasformato, ora è improntato più all’essenzialità e all’austerità. Dopo aver vissuto con persone che convivono quotidianamente con la miseria più nera, più disperata, niente è più come prima. Grazie a quelle persone ora vivo in una dimensione più umana, più fraterna e più cristiana. Merito di tutto ciò è dei Missionari, perché stanno mettendo tanta speranza nei cuori di quella povera gente.