Furto con scasso

“Furto con scasso”, definizione giuridica della legge degli uomini, che definisce l’azione deplorevole di colui il quale, con una fiamma ossidrica, o altro attrezzo, affronta la resistenza di una cassaforte. Giusta attribuzione. La mia “definizione” invece nasce da molto lontano. Mio padre prese alloggio, per la famiglia, in via dell’Ospedale, in quelle case quasi tutte fatiscenti, con una struttura tutta uguale. Dal portone, con unica scala, si accedeva al primo piano, e poi, al secondo. Allora avevo pochi anni. Non sapevo che al secondo piano abitava un giovane che accudiva la madre inferma, e suo padre si guadagnava la vita facendo l’ambulante, commerciando in cappelli di paglia. Aveva come mezzo di trasporto un carretto trainato da un asino. Non si poteva certo immaginare che fra tutti quegli stenti e la precaria vita di tutti i giorni ci fosse un figlio eccezionale. Questi, dopo essersi occupato della  madre, puliva la casa, cucinava e studiava. La sera aspettava suo padre che tornava a casa accolto sempre con molto affetto. Nel tempo tanta dedizione non poteva sfuggire all’attenzione dei vicini, e nemmeno a quelli che abitavano più lontano. I preti salesiani lo aiutavano con libri di testo di studi classici per il liceo, e più tardi per l’università. Alla sera, studiava alla luce di una lampadina fino a tarda notte. Approfondiva il suo sapere con grande passione. All’università poi trovò due furtivi occhi che lo seguivano, sempre più ammirati. Un giorno incontrò la risposta: un sorriso.  I due volti, senza parole, si compresero. Fu come un ruscello che dal suo alveo  raccoglieva i suoni del cielo e della terra, per confluire dolcemente in un laghetto d’amore. Lui Comodo Mario e lei De Bellis (non ricordo il nome ma solamente il cognome). Mario raccolse presto i frutti della sua tenace volontà. Vinse il concorso da magistrato e, in seguito, venne  nominato giudice a Fermo.  Intanto sopraggiunse un peggioramento della madre che, purtroppo, morì subito dopo. Come se ciò non bastasse, una sera l’asina del babbo ,  “la Checca”, senza più sentire le redini , da sola, piano piano, tornò alla sua stalla, fermandosi davanti all’ingresso, ignara del comando del suo padrone. La voce di un vicino tuonò “Vincè, sei arrivato”. Vincè invece, rimase in silenzio, adagiato nel carretto, disteso su un fianco, “cullato dal sonno dei giusti”. Si può facilmente  comprendere   il   dolore  che sconvolse il figlio, il quale continuava a ricordarlo mentre lo aspettava rientrare in casa, con la sua bisaccia, con pane, fagioli, ceci e qualche uovo. La sofferenza per la perdita di ambedue i genitori fu alleviata soltanto a stento dalla preghiera. Un giorno fu chiamato ad assolvere al suo compito. Trovò davanti a sé un uomo che, volendo far colazione con una mela e un tozzo di pane, aveva rotto una stecca della cassetta che conteneva una cesta di mele, commettendo il gravissimo reato di “furto con scasso” di cui venne accusato e denunciato. Il giudice Mario Comodo, durante il processo, seguì le diatribe degli avvocati mentre meditava di aiutare quel povero diavolo, perché in cuor suo riteneva eccessiva e inadeguata la dicitura di “furto con scasso”. Spesso si seguono con indifferenza i molti rivoli di natura formale, trascurando la pietà umana.

 

 

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